Pandemonio GDR - Urban Fantasy -

Posts written by tsutomu

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    Scusa l'assenza. Ho inventato sulla riparazione.


    Attese un po' dopo la partenza di Jesper. Era un tipo risoluto, ma voleva mantenere le distanze, anche se avevano appena deciso di collaborare.

    Pagò poi anche la sua consumazione e, lentamente, si immerse nella notte.




    Il giorno seguente mise le mani sul carrillon: lo smontò un pezzo alla volta ripulendo ogni ingranaggio. A lavoro terminato non riuscì a capire perché non volesse andare: tutto sembrava a posto. Che fosse stata solo la polvere?
    Con la sua solita precisione rimise tutto in ordine, pezzo dopo pezzo, ricostruendo la scatola. Ma ancora c'era qualcosa che non andava. Cercò quindi informazioni sul web, forum di appassionati, discussioni di nerd del carrillon. In rete c'era veramente un mondo parallelo.
    Forse trovò la soluzione quando, su una pagina dedicata, c'erano informazioni su una particolare lamella che aveva la tendenza a staccarsi e "sparire", dove per sparire si intendeva "andare persa". Ricostruì allora la lamella da un pezzo d'alluminio seguendo alla lettera le indicazioni.
    A lavoro ultimato sembrava aver ripreso vita. Forse era riuscito a riparare il guasto.




    La sera seguente, quasi allo stesso orario, Tsutomu si ritrovò al tavolo, con la stessa marca di birra della sera prima e un bussolotto coperto da uno straccio davanti a lui. Sembrava una scatola dei desideri, o, più semplicemente, un cimelio da nascondere. A Dilagon si vedeva di tutto quindi nessuno avrebbe fatto domande. Certo che più di qualcuno lo stava guardando.
    Ma non aveva paura: non era una cosa sua e, di lì a poco, se ne sarebbe sbarazzato.
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    La reazione dell'uomo era quasi comica. Ma Tsutomu non mosse un muscolo, altrimenti sembrava che volesse prenderlo in giro.
    Gli allungò il CD e poi, con molta cautela spostò gli scatoloni. Non voleva che qualche animale gli potesse saltare addosso. Trovò effettivamente il contenitore. Lo prese in mano e lo portò di fronte all'uomo. Voleva dare l'idea di fidarsi, ma avrebbe avuto un impatto sicuramente migliore se avesse recitato la parte di chi non se la beve.

    Si chinò dunque per ispezionare il contenuto ma quello che riuscì a fare fu solamente di aprire una fessura: il tutto era bloccato da un lucchetto. Ci infilò mezza mano, tanto per sentire banconote sotto le dita. Al tatto erano decisamente riconoscibili, le banconote, non l'avrebbe mai detto.

    Richiuse il contenitore sempre con gli occhi puntati sul tizio. Aspettava ora che controllasse il CD per effettuare lo scambio vero e proprio. Cioè, lui credeva che almeno gli avrebbe dato una chiave per aprire il lucchetto. Certo, con una buona tenaglia sarebbe andato in mille pezzi, ma perché fare fatica se poteva avere la chiave?

    Si alzò di nuovo e attese il responso del tipo. Sperava che i dati si fossero copiati bene e correttamente. Sarebbe stato spiacevole dover ritrovarsi, o, peggio, fargli sapere che ne aveva conservata una copia.
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    Mentre Jesper parlava, Tsutomu faceva scorrere velocemente il dito sullo schermo del cellulare. Stava scrivendo il suo indirizzo e-mail. Uno dei tanti, insomma. Non poteva sbilanciarsi così tanto da dargli un numero di telefono.
    Il telefono è rintracciabile, si può seguire, manda un segnale che, con un po' di pazienza si localizza.
    L'e-mail è anonima, può partire da un server in Alaska, passare per un proxy del Guatemala ed essere stata scritta in una barca sul Tamigi. Difficilmente si può risalire al luogo da cui è stata mandata. E anche alla persona.

    Pensò che una giornata era più che sufficiente per disassemblare il carrillon, metterci le mani e riportarlo agli splendori iniziali.
    Quando Jesper tirò fuori il suo telefono, gli girò lo schermo del suo.

    *Questa è la mia mail. Tu scrivi e io ricevo all'istante.*, disse serio.
    *Rimaniamo, a voce, per domani sera stessa ora stesso tavolo, se libero*, continuò, *ci sentiamo solo in caso di problemi, ti va?*
    Alzò lo sguardo. Era un ragionamento logico, che filava. Nessuno sarebbe stato disturbato durante il giorno successivo, a meno di problemi. Un patto a voce era pur sempre un patto.
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    In quel momento gli fu chiaro che il lavoro di spia non era affatto per lui. Se volevano un'entrata ad effetto c'erano riusciti: così tanto rumore si sentiva solo a capodanno, durante i botti.
    Alzò le braccia in segno di resa. Aveva fallito in pieno, ma, se non altro, non era lui quello che si era spaventato.
    L'eco della porta sbattuta, l'odore stantio, la luce spettrale: era il luogo perfetto per morire e venire dimenticati.

    Dopo quella gaffe, sarebbe partito in svantaggio. Come la sera in cui gli era stato affidato il lavoro. Se non altro, c'era un certo equilibrio.
    Il tizio era proprio lo stesso di quella sera. Non era sicuro che l'avesse riconosciuto quindi si avvicinò lentamente. Con quell'uomo era meglio non fare passi falsi, sembrava più matto che altro. Mentre metteva un passo davanti all'altro cercò di registrare tutti i particolari di quella stanza da paura. Era arrivato da quello che sembrava l'unico accesso. Doveva stare attento ad essere sempre in mezzo tra l'uscita e il suo uomo. Improvvisamente, ebbe paura di essere lasciato lì solo. Sembrava la stanza degli esperimenti degli orrori. Il piastrellato bianco dava l'idea di quello che doveva essere un posto pulito... un laboratorio, appunto.

    Con una mano andò alla ricerca del CD che aveva preparato. Se stava trafficando su un computer, il tizio, di sicuro avrebbe voluto visionarlo. Avendone poi intuito la paranoia avrebbe voluto uscire in momenti separati e lì sarebbero sorti i problemi...

    Scusarsi sembrava retorico. Aveva fatto un tale casino che si sarebbe tirato un pugno da solo.

    *Ho la roba*, si limitò a dire quando fu abbastanza vicino.
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    Jesper, dopo l'ilarità iniziale, prese sul serio le parole di Tsutomu, tanto da descrivergli nel dettaglio cosa avrebbe potuto imparare.

    *Non credo ci saranno orsi, almeno per un po', qui intorno*, la sua mente si immaginava un orso bruno, su due gambe, che chiedeva una birra al tizio del bar. Scacciò il pensiero.
    Bevve l'ultimo sorso dal suo bicchiere.
    *Abbiamo un accordo, quindi?*, chiese, ma non aspettò una risposta, *Io insisto sull'idea dei coltelli. Se ti va a genio l'idea, ci scambiamo i contatti necessari per poterci ritrovare*.

    Pensò anche che era troppo tempo che era lì dentro, che per quel giorno aveva respirato la sua dose di umanità e che era ora di tornare nella sua tranquilla solitudine.

    *Per il carrillon, mi serve almeno un giorno pieno se lo vuoi funzionante come prima. Il che vuol dire che per domani sera dovrebbe essere pronto*, alla fine sciolse il suo riserbo: aveva deciso che era in grado di metterci le mani e combinare qualcosa.
    Prese il cellulare, come già convinto che l'accordo fosse stipulato e guardò Jesper.
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    Era venuto il momento di fare qualcosa di concreto.
    Stanco di quel nulla che lo circondava, leggermente impaurito dai suoni sinistri che l'edificio produceva, decisamente scocciato di giocare a quella caccia all'uomo... prese il suo cellulare e cercò l'applicazione che usava il flash come torcia.

    *Veramente, caro il mio cellulare, se non ci fossi tu, sarei già perduto*, pensò.
    Pure con la luce, non si riusciva a vedere molto. Pareva che il posto assorbisse energia. Mosse lentamente il telefono puntando a terra, con movimenti circolari.
    Movimenti lesti e rumori agghiaccianti si susseguirono, come se Tsutomu avesse disturbato sonni secolari o traffici strani.
    Individuate le scale puntò dritto verso di loro. Sempre attento a dove metteva i piedi. Aveva l'impressione che i ratti lì dentro potessero essere più grandi di quelli normali.

    Lo scopo era scendere di un piano e, per quanto possibile, trovare la sala collaudi, come suggeritogli dal contatto.
    Non è che scendendo fosse più scuro, semplicemente si sentiva l'edificio in testa. Un'opprimente sensazione di schiacciamento, acuita dal buio pesto. Ora però doveva stare ancora più attento: a dove metteva i piedi e a dove avrebbe potuto sbattere.

    Si trovò di fronte ad una porta su cui, in tempi gloriosi, probabilmente c'era scritto "Collaudo" o "Stanza collaudo" o qualsiasi altra cosa che utilizzasse le lettere "CLUDO": le poche che si leggevano per intero.
    Sicuramente non avrebbe messo mano alla maniglia.
    Con la punta della scarpa spinse il fronte della porta: con un po' di forza, probabilmente l'avrebbe aperta.
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    Dopo essersi informato qua e là sul tipo di posto in cui sarebbe dovuto andare, Tsutomu ritenne opportuno munirsi solo del suo cellulare. Nient'altro.
    Pantaloni lunghi, giacca leggera, cellulare e CD in tasca e orecchie all'erta. Quando ne aveva parlato in giro, solo il nome era servito da altolà. Di fronte a reazioni del genere, viene naturale pensare che non si stia andando all'Hilton di New York.

    Addentrandosi per le viuzze che marcivano all'aria aperta, Tsutomu cercò di assumere un'aria truce e di dimostrare sicurezza. Doveva dare l'impressione di uno che sa dove vuole andare e non vuole alcun tipo di casino nel mezzo. Non avere fronzoli poteva servire da deterrente, da qui la scelta di lasciare il pc a casa.
    Rallentò e si guardò attorno quando fu nei pressi del dodici. A detta del solito tizio sarebbe stato aperto.
    Il rumore della catena che scivolava a terra fu spettrale: aggiunto ai rumori di vita nascosta, che uscivano da ogni dove, in quel posto, poteva vincere il premio come miglior colonna sonora di un film horror.
    S'infilò dentro sperando di non fare brutti incontri e gli ci volle un attimo prima che gli occhi e il naso si abituassero al nuovo ambiente.
    Un misto tra terremoto, incendio, sommossa popolare e tsunami sembravano essere passati di lì. Qualsiasi cosa era fuori posto e in uno stato pietoso. Si districò tra carte, arredi a pezzi e animali striscianti cercando di orientarsi nella devastazione del luogo.

    A parte i rumori di sottofondo e quelli che faceva lui camminando, non sentì altre presenze.
    *Se solo osa farmi prendere uno spavento, gli tiro un pugno*, pensò Tsutomu.
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    Quando Jesper si mise a ridere, Tsutomu fu tentato di alzarsi ed andarsene. Perché il genere umano era sempre così? Perché di fronte ad una cosa nuova o rideva o aveva paura? Non c'era mai la via di mezzo?
    Con alcuni compagni d'università aveva fatto lo stesso errore: quando aveva cercato di cambiare qualche suo atteggiamento era stato deriso sonoramente.

    Uno nasce in un modo e così deve rimanere?
    Che triste destino.

    Tuttavia riuscì a stare seduto come se niente fosse; un po' per le scuse di Jesper, un po' perché poteva veramente interessargli.
    Quale arma voleva maneggiare? Nessuna se non il proprio cervello. Ma date le circostanze pensò che qualcosa a raggio corto fosse più che sufficiente.

    *Mmh...*, pensò per un attimo, *... credo che mi troverei a mio agio con un'arma tipo coltelli, spade corte*. La sua conoscenza non era nemmeno molto approfondita.
    Non credeva che si sarebbe mai trovato in uno scontro a fuoco e, in ogni caso, una pistola o qualcosa di simile pesavano troppo. Un bel coltello invece era ben mimetizzabile, colpiva da vicino e profondo. Era più facile che si trovasse faccia a faccia con qualcuno, come in quel momento lì. E poi i coltelli erano silenziosi.
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    Grazie Tenshi! Grazie Master!
    E' sempre un piacere aiutare il forum.
    :)
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    Tsutomu pensò parecchio prima di rispondere, in fondo Jesper lo conosceva da una manciata di minuti.
    Però si espose. E parecchio.

    *Diciamo che ognuno di noi ha un talento nascosto, no?*, iniziò, *Il mio non è certo quello di sapermi destreggiare con le armi*.
    Respirò a fondo. Aveva appena ammesso un suo punto debole.
    *Qualche pugno penso anche di riuscire a tirarlo, ma per il resto sono molto... arrugginito*, disse.
    *Appunto, si diceva che ci si poteva aiutare, no? Ecco, pensavo... io mi impegno in questa cosa della ricerca, di portare avanti il lavoro. E tu, dietro compenso, rispolveri le mie doti di tiratore*

    Rimanere sul vago non aveva più senso, quindi andò dritto al problema. Dopo aver girato un po' per i quartieri di Dilagon City, Tsutomu si era reso conto che ad avere qualche nozione in più di "sopravvivenza urbana" non gli avrebbe fatto assolutamente male.
    Jesper gli dava una qualche sicurezza. Il fatto poi che l'avesse abbordato con la scusa della ricerca l'aveva ovviamente lusingato e gli aveva fatto guadagnare una bella cifra di punti. Le due birre avevano fatto il resto.
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    Jesper era parecchio strano: chi avrebbe fatto una cosa del genere per puro spirito umanitario? A Dilagon City? Tsutomu scosse la testa e sorseggiò ancora dal bicchiere. Gettò un'occhiata al carillon. Era un pretesto. Come poteva non essersene reso conto? Forse, sì, gli serviva il carillon aggiustato, ma non era certo la causa primaria della sua venuta in quel posto.

    *Ehi... non ti ho chiesto una storia...*, precisò Tsutomu. Se si fossero addentrati troppo nei dettagli si sarebbe sentito costretto a raccontare qualcosa anche lui: qualcosa di personale. E non ne aveva la minima intenzione.

    *Ok, sei in trattativa, ci teniamo aggiornati. Ma, visto che è un favore che ci facciamo entrambi... tu cosa ne sai delle armi?*, chiese Tsutomu. Poi si affrettò a precisare: *Cioè: te ne intendi di armi?*
    Non era la domanda più sagace del mondo. Gli serviva per scoprire qualcosa in più sul suo interlocutore e, perché no, magari approfittarne.
    *Perché avrei una mezza idea, come dire... dopo un po' di tempo speso qui... uno deve attrezzarsi, no?*

    Volse poi lo sguardo altrove. Probabilmente stava arrossendo. Tipico di quando ci si scopre a fare una figura da idioti.
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    Ora che la parte grossa era stata fatta, sembrava veramente tutto in discesa. L'uomo all'altro capo era da una parte stupito, dall'altra talmente eccitato che avrebbe dato di tutto per essere lì in quel momento. Almeno: era questo che Tsutomu percepiva.

    Non ebbe modo di intromettersi tra le parole dell'altro. Parlava e dava ordini senza fermarsi un attimo. Si limitò quindi a mugugnare di tanto in tanto, per far capire che registrava ogni parola.
    Avendo il pc acceso sotto mano, prese nota dei punti salienti.
    L'uomo non sapeva che era stato proprio lui a fare il lavoro. In fondo si era presentato come portavoce, come ambasciatore... il tutto rendeva la conversazione molto più intrigante.

    Quando l'altro terminò la sua manfrina Tsutomu si limitò a dire: *Ci sarò*, e, attesi giusti due secondi avrebbe messo giù la cornetta.

    Forse era il caso di cominciare a fare questo benedetto CD con i dati. L'indomani poteva essere molto vicino, se non ci si prendeva per tempo.
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    Attendere che dall'altro capo qualcuno risponda, farebbe perdere la pazienza a chiunque. Tsutomu tuttavia attese diligentemente. Quegli squilli a vuoto gli diedero modo di caricarsi, di pensare un poco a quello che doveva dire.

    Quando la voce rispose all'altro capo del telefono, Tsutomu scostò il suo cellulare dall'orecchio: sembrava che il tizio stesse parlando direttamente al suo cervello da quanto teneva alta la voce.

    Il "pronto" che si dice all'inizio di una conversazione telefonica racconta molte cose: forte e chiaro, o biascicato e stanco... sono indici di quanto la persona è effettivamente "pronta".
    Un "Pronto" a quel tono poteva dire anche che il tipo si trovava nel bel mezzo di una guerra nucleare. Che bisogno c'era mai di urlare...

    Era tentato di usare una frase in codice tipo: "Ho preso l'ultimo DVD della serie, se vuoi te lo passo!". Ma visto che il suo mandante si era definito terra-terra da solo, evitò accuratamente giri di parole.

    *Ho un CD e devo portartelo*, disse solo. Più chiaro di così era impossibile, soprattutto senza voler far trapelare altre informazioni.
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    Quella conversazione ai limiti del verosimile ma con una solida base... scientifica, fecero sentire Tsutomu nuovamente vivo. Gli sembrava un'eternità dall'ultima volta che aveva parlato in quei termini con qualcuno. Poteva quasi piacergli la compagnia di qualcuno. Terminò la sua birra e fece un cenno ad un cameriere.

    *Tu vuoi qualcosa?*, accennò a Jesper.

    Poi tornò a concentrarsi su quello di cui stava parlando. Più che altro, sembrava si stesse sfogando.
    Ne sapeva. Parecchio. L'argomento gli stava a cuore moltissimo. Come al suo solito, Tsutomu non intendeva fare domande. Si era anche quietato sul fatto che Jesper sapesse quello che lui voleva fare.

    Con il solito atteggiamento di chi sembra distaccato e assente, ma in realtà è molto attento, Tsutomu riprese informazioni già date e le rielaborò.

    *Che tipo di aggancio potresti offrirmi? Non mi è chiaro questo. E, per la cronaca, nessuno fa mai niente per niente. Tu cosa ci guadagni?*, alla fine si tornava al solito discorso: gli affari. D'altronde: sono il vero motore della società. E gli uomini che si muovono in questi affari sono il carburante che permette al motore di continuare a marciare. O marcire. Dipende dai punti di vista.

    Con gli occhi socchiusi Tsutomu attese una risposta. Avrebbe dovuto essere chiara e specifica.
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    Mentre Jesper gli spiegava la sua teoria sul malfunzionamento del carillon, Tsutomu annuiva: effettivamente era l'unica cosa che poteva rompersi in un carillon. Oppure poteva avere troppa polvere dentro. Era comunque una cosa che era in grado di sistemare. Stava proprio per accettare l'incarico quando venne inondato dalle sue parole.

    Improvvisamente si sentì come il tipo dell'internet caffè che aveva incontrato uno dei primi giorni dopo il suo arrivo a Dilagon City: chi cavolo aveva davanti? Come faceva a sapere tutte quelle cose su di lui che era stato così attento a non divulgare troppe informazioni?

    *Non c'è scampo, insomma*, si rassegnò in breve. Ormai l'aveva scoperto e la sua reazione non era di uno che smentisce quello che gli hanno appena detto. Negare ora era come rafforzare l'affermazione di Jesper.

    Prese del tempo sorseggiando la sua birra.

    *Non dico che non sia così*, iniziò enigmatico, in fondo il tipo proponeva lavoro, *Lo studio sulle nanotecnologie è ancora controverso. C'è chi non vuole, c'è chi vuole. Che si possa progettare e realizzare qualcosa come dici tu, secondo me sì. Ma con tantissime prove. Se, metti, vogliamo colpire un virus specifico, prima di tutto dobbiamo essere in grado di farlo "fuori". Dopodiché dobbiamo applicare il "vaccino"? Boh, chiamiamolo così, applicarlo ad un trasportatore, che potrebbe essere una molecola o qualcosa di simile, sempre in termini "nano"... capisci che costruire un autobus per le cellule... beh... non è immediato.*, concluse ridendo e prendendo un'altra sorsata di birra.

    *Ma in fondo, siamo qui per questo, no? Spingerci sempre oltre...*, disse ancora, non proprio a Jesper, ma a sé stesso.

    Poi, tornando a guardare l'altro, gli disse: *Non so se questo risponde alle tue domande però*
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