Pandemonio GDR - Urban Fantasy -

Posts written by Oracolo

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    Ed in questo secondo caso, volendo ripartire da zero, cosa ne sarebbe degli effetti personali? A meno che non sia possibile "passarli" al futuro Pg tramite Memorie Perdute o quest è possibile lasciarle ad altri pg?
  2. .
    Oltre alla morte del proprio pg ci sono altri metodi per cambiare pg?
  3. .

    03. Casa Holland


    Narrato

    Parlato altri Pg
    Parlato Franz

    Pensato Franz






    Franz Hopper
    Punti Vita: 120/120
    Punti Difesa: 29/29
    Bonus ai Punti difesa per schivare: 1
    Riduzione del danno: 0

    Riepilogo azioni
    ///

    Inventario
    - Magnificat
    - Archangelus
    - Mantello
    - Coltellino multiuso
    - iPhone
    - Pugnale ondulato
    - Bracciale maori
    - Spada di bronzo
    - Spada arrugginita




    Franz sapeva che sarebbe tornata indietro, qualcosa nel profondo del suo spirito gli donava cieca fiducia. La vide sparire assieme al suo amico nel fiume di persone che animava Dilagon City e per l'ennesima volta rimase meravigliato dalla bolla d'indifferenza che avvolgeva quella manciata di metri. La casa aveva un ché di misterioso, un ché di magico, che deviava altrove le attenzioni della gente. Solo lui ed altre due persone ne erano attratte in maniera morbosa quasi la calce fosse una droga che scorreva nei loro corpi. Non capiva cosa fosse capitato al più alto e non gli interessava saperlo: dei due la più forte era la donna. L'intuizione del giardiniere non era supportata da prove o aneddoti, si trattava semplicemente di istinto. Era l'unica apparentemente immune al fascino della casa, il giovane sentiva in ogni istante la minacciosa presenza incombere su di lui. Si trattava di una sensazione indefinita, un martellio nel cranio come se ci fosse qualcosa attorno a lui che i suoi occhi non potevano cogliere. Gli sembrava di poter essere assalito alle spalle in qualsiasi momento. La paura non lo indusse comunque a togliersi il cappuccio.

    Lei stava tornando indietro, si era aperta la giacca con assoluta naturalezza, sotto il giovane poté intravedere un maglioncino nero e leggero sopra la pelle olivastra. Aveva un fascino tutto suo, doveva ammetterlo, ed i suoi indumenti semplici non facevano che accentuarne la bellezza. Lo colpì maggiormente il passo sicuro e determinato, la falcata di una donna forte, decisa. - Chissà se è più forte di me - si chiese ma per quanto apparisse atletica trovava difficile che potesse atterrarlo. La donna si fermò ad un paio di metri di distanza, Franz sapeva che nessuno li stava guardando. Il cappuccio lo infastidiva ma era necessario, la ragazza occupava il centro del suo campo visivo. Era stato notato fin dal principio, non che avesse fatto molto per nascondersi, ma trovarsi finalmente faccia a faccia lo metteva in soggezione. Qualcosa proveniva dal suo corpo, una sorte di timore reverenziale, sembrava di essere al cospetto di un'entità superiore.

    No, si stava facendo troppi grattacapi. Si trattava di una donna, carina e molto sicura di sé ma pur sempre umana. Il pugnale non aveva dato segni di vita quindi non poteva essere una creatura della notte, un vampiro, come aveva detto Carla Meyer. Certo, i vampiri non erano protagonisti assoluti del folklore ma vederla camminare alla luce del giorno lo tranquillizzò. Gli occhi minacciosi che sentiva puntati addosso un po' meno. Erano tuttavia molto belli, di un nocciola chiaro, quasi dorati al Sole di Dilagon City. Si era fermata ad un paio di metri di distanza, il giovane avrebbe potuto coprire la distanza con due ampie falcate, probabilmente gli sarebbe bastato un passo affinché entrasse nel raggio d'azione dello spadone. Sentì contro la schiena la presenza dell' arma ancora avvolta da bende. Sarebbe stato sciocco vedere nel prossimo un potenziale nemico ma non poteva fare a meno di sentirsi minacciato. Lei era lì, una gamba leggermente avanti l'altra, ma sembrava pronta a balzargli addosso. Forse era stato troppo precipitoso: con quel mantello addosso poteva passare per un malintenzionato e non si trattava certo dell'abito più comune a Dilagon City.
    - Hey tu! - si sentì chiamare - Cosa vuoi, uh? Cos'è questo posto? -

    - Ecco che saltano i convenevoli - pensò il giovane, piuttosto seccato - Forse è meglio così -. Non che Franz, dal canto proprio, avesse fatto molto per apparire affabile o rassicurante. In ogni caso quell'atteggiamento sicuro lo metteva leggermente a disagio così come le parole schiette. Quella piccola parte di lui che si aspettava di trattare con una fulgida donzella morì disperata, tanto piacere. Nell'istante in cui le parole di lei si persero nel traffico cittadino, il giardiniere capì che non avrebbe trovato risposte nell'ostilità della giovane, per questo si decise a dare un tono diverso al loro incontro. Con molta lentezza, in modo che i suoi gesti fossero ben visibili, lasciò scivolare la braccia fuori dal mantello esibendo i palmi vuoti ed aperti. Così facendo la ragazza avrebbe visto le maniche della pesante felpa scura che portava sotto ma niente più. Dopo aver alzato le mani davanti le spalle le portò, un po' più celermente, al petto sciogliendo con forza il nodo che reggeva addosso a lui la pesante arma. Quando la sentì cadere, il tonfo ovattato dal bendaggio, le spalle indolenzite si rilassarono. Sperava che così la donna capisse di non essere in pericolo, non poteva rendersi ostile la prima persona incontrata che sembrava possedere un certo potere. - Voglio sapere perché questo posto è così ipnotico per me - rispose abbassando le braccia a nascondendole di nuovo tra le pieghe del mantello - Ma anche perché non sembra avere lo stesso effetto su di te -
    Niente nella posizione di Franz era mutata da quando la sua interlocutrice aveva aperto bocca. Non si sentiva particolarmente minacciato quanto più consapevole di essere al cospetto di un individuo fuori dall'ordinario.


    Codici di » Franz

  4. .
    Grazie GM. Avrei una domanda sulla spada di bronzo: la clausola del taglio per attivarne il bonus va ripetuta ad ogni quest o fatta una volta rimane "attiva" fintanto che qualcun'altro non si taglia a sua volta?
  5. .

    02. Casa Holland


    Narrato

    Parlato altri Pg
    Parlato Franz

    Pensato Franz






    Franz Hopper
    Punti Vita: 120/120
    Punti Difesa: 29/29
    Bonus ai Punti difesa per schivare: 1
    Riduzione del danno: 0

    Riepilogo azioni
    ///

    Inventario
    - Magnificat
    - Archangelus
    - Mantello
    - Coltellino multiuso
    - iPhone
    - Pugnale ondulato
    - Bracciale maori
    - Spada di bronzo
    - Spada arrugginita




    Qualcosa stava cambiando nel rapporto tra i due. Franz se ne rese conto lentamente, mentre li spiava con la coda dell'occhio. La fatiscente dimora, nel frattempo, sembrava voler attrarre tutta la sua attenzione: il giovane sarebbe rimasto per ore a fissarne l'intonaco scrostato delle pareti, le colonne solcate da crepe o le arrugginite inferriate sbarrate. Invidiava l'uomo e la donna, una decina di metri alla sua sinistra, poiché erano poco davanti il portone in legno mentre lui poteva godere di una panoramica quasi angolare trovandosi al margine della tenuta. L'effetto ammaliante, scoprì gradualmente, non sembrava estendersi all'incolto giardino dove, tra rovi ed erbacce, poté scorgere vecchi quotidiani ingialliti dal tempo e dalle intemperie. Se avesse avuto il coraggio di farsi avanti, di calpestare il prato trasandato, analizzando meglio le pagine scolorite avrebbe potuto scoprire da quanto la residenza era abbandonata.

    No, era difficile che accadesse poiché i fogli apparivano veramente rovinati e tutt'altro che leggibili: l'umidità e la pioggia dovevano aver portato via ogni residuo d'inchiostro. Forse da qualche foto meglio conservata sarebbe potuto risalire ad una data ma per farlo aveva bisogno del suo computer, a casa. Inoltre per nessuna ragione si sarebbe avventurato oltre da solo: scoprire che a Dilagon City esisteva un mondo sommerso, un mondo popolato da creature bizzarre e magie, lo aveva reso sospettoso e diffidente. Si interrogava su perché, tra la moltitudine di gente che affollava il Neolock nel primo pomeriggio, solo loro tre sembravano accorgersi della casa ed esserne attratti. Come faceva un edificio del genere a passare inosservato agli occhi della maggioranza sembrava un mistero. Franz si scoprì ad ammirarne ogni finestra fatiscente, ogni persiana a stento sorretta da cardini arrugginiti, immaginando corridoi e saloni all'interno. Era difficile farsi un'idea della ripartizione osservando solo un lato della villa, soprattutto perché alcuni lucernari apparivano più decorati e pretenziosi di altri. A parere del giovane chiunque avesse tirato su quella residenza aveva impiegato tempo e materiali di ottima fattura ma non poteva esserne certo essendo lui un semplice giardiniere.

    Qualcosa nella periferia del suo campo visivo mutò e ciò lo indusse, con un grande sforzo, a distogliere lo sguardo dall'enorme calamita. Il ragazzo che aveva seguito, effettivamente poco più basso di lui, era alle prese con la giovane donna: ella, ponendogli una mano sul petto, muoveva delicatamente le labbra rosee come se parlasse. Probabilmente discutevano su qualcosa, data la distanza era difficile dirlo con precisione, ma lui appariva piuttosto turbato. Grazie al marciapiede deserto Franz ebbe modo di osservarla di meglio: era di statura minuta, come giustamente aveva notato prima, dalla pelle abbronzata e lievemente olivastra. C'era qualcosa nei suoi vestiti, soprattutto nella giacca sportiva, che le dava un'aria trasandata, il fascino tossico delle ragazze di strada. Sarebbe stata veramente bene in un abito elegante, i lunghi capelli corvini attiravano lo sguardo sui lineamenti marcati. Le gambe delineate apparivano strette nei pantaloni indossati. Anche le mani, per quanto piccole, sembravano forti e robuste. Stessa cosa poteva dire, non in tutta certezza, delle braccia. Non c'era un dettaglio che catturasse particolarmente l'attenzione, era la visione d'insieme a farla apparire una donna tutta d'un pezzo che avrebbe tenuto testa a molti uomini.

    Restava comunque piccola, davvero bassa, con ogni probabilità Franz l'avrebbe sormontata con tutta la testa. Al contrario il suo accompagnatore, davvero gracile nel vento freddo, iniziava a dimenarsi come un cane davanti un osso succulento. Forse litigavano su qualcosa, nuovamente la distanza non favoriva l'ascolto. Il giardiniere non ritenne opportuno avvicinarsi ulteriormente ma al tempo stesso si sforzava di non fissare la casa, oramai certo del suo potere ammaliante. Era una fortuna essere così lontano dall'ingresso: la forza attrattiva sembrava aumentare con l'avvicinarsi al portone in legno. Anche finestre e pareti, mentre erano osservate, apparivano curvarsi e scivolare di lato quasi che tutti gli elementi architettonici puntassero nella stessa direzione. Il peso che il giovane sentiva gravare sul petto gli ricordò il male che, a suo parere, risiedeva tra le pareti domestiche. Era un dolore bruciante, sembrava di star respirando del fumo. Probabilmente si trattava di un segno perverso della sua mente debole in ogni caso si reputava capace di discernere il bene dal male e si sentiva in grado di ammettere che lì dentro abitasse un'entità malvagia. La tentazione di scappare era forte, forse più forte di quella di entrare, ma non fece nessuna delle due cose: la donna che spiava da qualche minuto si stava muovendo.

    La vide afferrare il volto del suo accompagnatore con dita minute ma forti, tenendolo immobile. Se anche lei, come loro, risentiva della malia ma riusciva a resisterle doveva essere davvero potente. In ogni caso quel gesto mise in allarme Franz. Scostando con la mano un lembo del mantello riuscì a scoprire la gamba sinistra quanto bastava per gettare l'occhio sul pugnale che portava legato al polpaccio. Lei se ne sarebbe accorta, forse avrebbe anche notato l'arma, ma non gli importava: al momento la sua preoccupazione era sapere con chi aveva a che fare. La lama pregiata giaceva nel fodero in pelle senza curarsi del mondo circostante. A detta di Carla Meyer si sarebbe dovuta illuminare in presenza di oscure creature: né la donna né il suo amico sembravano esserlo. Era troppo distante dalla casa perché il suo potere ne scandagliasse le pareti rovinate ma si ripromise di fare un altro tentativo. Temendo occhi indiscreti si affrettò a coprire il tutto.

    Nell'istante in cui il suo sguardo tornò a posarsi sulla coppia, un po' meno diffidente di prima, poté assistere al goffo abbraccio con cui la donna cinse il ragazzo. Quest'ultimo, forse in preda ad un malore, si piegò su di lei occultandola quasi del tutto alla vista. I loro copri attaccati si erano mossi in maniera troppo veloce ed innaturale per far pensare ad un gesto d'affetto, sembrava più che fosse accaduto qualcosa all'improvviso. Con stupore del giardiniere la ragazza parve sorreggere senza sforzo il peso del compagno e, ancora stretti, mosse con sicurezza alcuni passi. Stupito e confuso, il giovane rimase al suo posto senza dire nulla. Cos'era accaduto al tipo alto? Aveva accusato un malore? Possibile. Per quale motivo allora lei non sembrava affatto meravigliata ed, anzi, si muoveva con assoluta determinazione? Una cosa era certa: osservare la casa troppo a lungo non portava nulla di buono. Fu per questa ragione che Franz si ripromise di non poggiare più gli occhi sulla costruzione e, nel tentativo di aiutarsi a tale scopo, lasciò scivolare il cappuccio del mantello sul capo.

    Sapeva che nessuno avrebbe prestato attenzione a lui esattamente come nessuno prestava attenzione al rudere che aveva di fianco, in ogni caso tirò leggermente la stoffa su un lato del volto così da essere certo che ogni dettaglio della dimora fosse celato ai suoi occhi. Quando vide la donna allontanarsi, desideroso di saperne di più, si mosse rapidamente raggiungendo il punto che prima occupavano i due. Quand'ella sarebbe tornata indietro, cosa che avrebbe fatto di certo, l'avrebbe trovato lì ad aspettarla. Probabilmente non era malvagia ma se anche lei subiva il fascino della casa allora i due dovevano avere qualcosa in comune e Franz era ansioso di scoprire cosa fosse.


    Codici di » Franz

  6. .

    01. Casa Holland


    Narrato

    Parlato altri Pg
    Parlato Franz

    Pensato Franz






    Franz Hopper
    Punti Vita: 120/120
    Punti Difesa: 29/29
    Bonus ai Punti difesa per schivare: 1
    Riduzione del danno: 0

    Riepilogo azioni
    ///

    Inventario
    - Magnificat
    - Archangelus
    - Mantello
    - Coltellino multiuso
    - iPhone
    - Pugnale ondulato
    - Bracciale maori
    - Spada di bronzo
    - Spada arrugginita




    Il suo primo incontro con Carla Meyer lo aveva lasciato sconvolto. Mentre percorreva a passi celeri le strade anonime di Dilagon CIty si rese conto che era stata una sciocchezza accettare dalla donna quel pesante mantello. - Sembra che stia per piovere - aveva detto lei - E in ogni caso non puoi tornartene a casa così -. Al contrario il cielo era sereno come non mai ed il vento sferzante tra le strade non era poi così diverso da quello che soffiava nel South Side. Solo su una cosa aveva avuto ragione: non poteva entrare al convento conciato in quel modo. Gettò uno sguardo all'enorme attrezzo che portava a tracolla e si chiese se mai qualcuno avrebbe davvero creduto che, avvolto com'era in spessi drappeggi scuri, somigliasse ad una chitarra. - Certo che non ci somiglia - disse tra sé - In fondo non è una chitarra -. No, non stava trasportando uno strumento a corde, bensì uno strumento di morte. Per quale assurda ragione aveva accettato di portare via l'eredità di Jules Meyer? Oltre il pesante fardello dello spadone motosega sentiva premere contro il fianco il calcio, freddo nonostante gli spessi indumenti, della pistola. Anche quello un dono inaspettato, grazie mille zio Jules. No, non avrebbe dovuto chiamarlo così: Carla aveva detto che detestava essere chiamato "Jules" o "Zio Jules". Avrebbe dovuto chiamarlo Julien, come sempre era stato fatto. - Al diavolo - pensò - Tanto è morto, non è mica qui -. Non poteva preoccuparsi dei defunti, non in quel periodo della sua vita in cui era talmente angosciato dai vivi.

    Già scoprire di avere una zia, una prozia per la precisione, e che esisteva tutto un ramo materno con il quale non era mai venuto in contatto lo sorprendeva a sufficienza. Come se ciò non bastasse rendersi conto che la prima parente conosciuta, la zia Carla Meyer, era una sorta di agente segreto da quatto soldi lo infastidiva. Che lo stesse spiando anche in quel momento? Probabile. Appena l'aveva visto non aveva esitato a sbattergli in faccia ogni particolare dei suoi diciannove anni. Come facesse ad avere tante informazioni, poi, era un altro dilemma. Cosa aveva detto di fare nella vita? L'avvocato? Qualcosa del genere. Anziana com'era Franz aveva dato per scontato che fosse in pensione, invece non era così. La sorpresa più grande di tutte era stato trovare sul tavolo della casa i suoi effetti personali, quelli che aveva acquistato da Samuel al Talamasca. Come la zia Carla avesse potuto introdursi (o mandare qualcuno a farlo) nella sua stanza a Nostra Signora del Mare era un mistero da chiarire. Franz ne era rimasto scioccato, ma più che scioccato veramente adirato ed aveva lottato per riavere tutto indietro ed essere libero di andarsene. Stranamente non aveva incontrato resistenze e, mentre attraversava l'ennesimo incrocio affollato di gente, si rese conto di aver superato da tempo la sede del Dilagon Post. Stava andando al giornale, per quale motivo? Doveva consegnare qualche articolo? Sì, ma non lo aveva con sé. I suoi piedi lo avevano condotto per strade più conosciute mentre il mantello ondeggiava ad ogni passo. Cosa doveva fare in redazione? Ma certo: doveva chiedere di poter pubblicare due articoli quella settimana, era una cosa che poteva fare comodamente da casa con una telefonata.

    Quanto si era spinto oltre? In lontananza alle sue spalle poteva vedere il lucente edificio, un grattacielo di prim'ordine. Accidenti, doveva essere arrivato a Neolock senza rendersene conto, avrebbe dovuto prestare più attenzione a quanto faceva. Non poteva rimanere immobile, spintonato com'era dalla ressa di cappotti e giacche, riuscì ad aprirsi un varco fino al muro più vicino. Appoggiato alla parete di un anonimo edificio, il fiato corto per lo sforzo che aveva sostenuto nel portare quel pesante affare da New Side, prese a guardarsi attorno in cerca di pattuglie della polizia. Sarebbe stata la fine se qualcuno lo avesse fermato per un controllo: portava addosso un arsenale sufficiente ad armare una banda di teppisti. Fatta eccezione per l'ingombrante arma malamente camuffata in chitarra, poteva passare dei seri guai per la pistola di grosso calibro che portava al fianco. Se quest'ultima non lo avesse mandato in galera ci avrebbero pensato la spada arrugginita che pendeva dalla cintura o il pugnale legato alla coscia sinistra. Tutto ciò senza considerare la delicata spada di bronzo, memoria dei tempi antichi, che indossava a tracolla ed il cui pomello gli premeva con insistenza sulla spalla sinistra. Forse era stato un errore riprendere quanto Carla gli aveva sottratto ed uscirsene a piedi senza un mezzo di trasporto. La rabbia aveva avuto il sopravvento sulla prudenza ma quegli oggetti erano suoi, gli appartenevano, e lei non aveva il diritto di prenderli. Nel rumore cittadino ebbe l’impressione di udire di nuovo la sua voce acuta e rotta. - Tuoi? - aveva detto con calma glaciale - Quando una cosa è tua? Quando la compri? Oppure quando la conosci, quando ti appartiene? Credi che questi oggetti ti appartengano? Li conosci, forse? -

    Aveva impiegato pochi secondi a zittirlo ma ciò non aveva placato la sua rabbia. - Questi non sono normali oggetti, va bene - ammise a sé stesso - E allora? Sono miei, li userò come meglio credo -
    In ogni caso era un bene che indossasse il mantello: oltre a dargli l’aspetto di un barbone qualsiasi (cosa che lo salvava da occhiate indiscrete) nascondeva tra le ampie curve tutti i suoi averi senza problemi. La spessa fodera interna lo teneva al caldo e poteva muoversi con comodità. Se solo non avesse avuto il fastidio dello spadone con sé. Lo osservò per l’ennesima volta vincendo il desiderio di scioglierlo dai drappi che lo avvolgevano: era poco più alto di un metro e trenta, non così pesante come aveva creduto ma in ogni caso piuttosto rude da utilizzare. Non capiva come mai un uomo raffinato come Jules Meyer potesse aver ordinato un simile obbrobrio. C’era qualcosa di affascinante nelle ruote dentate ben coperte da giri di stoffa. Il motore dal rombo assordante, spento e freddo, era stato fasciato con particolare cura per dare l’impressione di una paletta eccezionalmente grande. Carla Meyer aveva svolto tutto il lavoro in una manciata di minuti, l’abilità dimostrata era segno di un compito svolto frequentemente. Sarebbe tornato da lei, lo sapeva, prima o poi lo avrebbe fatto. Anche solo per vuotarle un caricatore in faccia. Prima di tutto doveva tornare a casa e parlare con suo padre sperando di riuscirci. Era partito oramai da una ventina di giorni, se fosse attraccato in qualche porto glielo avrebbe comunicato. Poco distante da dove il giovane si trovava un gruppo di artisti di strada improvvisava motivetti. Li sentiva a malapena nel fiume di gente ma non dovevano trovarsi a più di una decina di metri. Era carina quella parte di Dilagon City, nonostante la frequentasse ben poco appariva pittoresca. Il nuovo calpestava il vecchio a Neolock e si imponeva con creativa vitalità come dimostravano gli edifici ancora freschi di calce che davano sulla via trafficata. Erano rimaste poche strutture d’altri tempi, vecchie e malridotte, prossime alla demolizione. Dilagon City era un treno che filava a tutta forza verso il futuro, di lì a qualche anno avrebbe trovato il quartiere completamente diverso.

    Mentre vagliava con sguardo pigro i profili delle case e degli uffici la notò. Dire che la vide non sarebbe corretto: Franz la percepì. I suoi occhi vedevano il bianco, poi il giallo, poi il nero ed infine di nuovo il bianco ma il suo cuore, il suo cuore sussultava ogni volta che lo sguardo l’accarezzava. Non era diversa da molte altre, anzi ne aveva viste molte come lei. Alta, non particolarmente ma piacevole allo sguardo. Scura come l’inchiostro e misteriosa. No, era la sua mente a dipingerla scura, i suoi occhi la pensavano diversamente. Come aveva fatto a non notarla prima? Era arrivato da almeno dieci minuti, possibile che non vi avesse prestato la dovuta attenzione? E gli altri, come facevano a non notarlo? Come quella ressa di gente poteva passarle davanti senza fermarsi? In effetti il marciapiede difronte era vuoto ma tutti gli altri come facevano a non rimanere ammutoliti ed un po’ atterriti dalla casa?
    Vecchia, senza dubbio d’altri tempi, e malandata. Ma qualcosa le dava un’aria solida come se le travi marcie fossero state posizionate a coprire pilastri in cemento armato. Aveva il fascino trasandato delle dimore infestate, il ragazzo ebbe l’impressione che tra un attimo uno spirito avrebbe fatto la sua comparsa tra le finestre sbarrate ed ingiallite dal tempo. Il mondo attorno a lui parve perdere suoni e colori davanti al rudere abbandonato. Gli faceva male al cuore osservarla, come se il veleno passasse per i suoi occhi fino al cuore, ma al tempo stesso era così bello farlo che non avrebbe smesso tanto presto. L’apparizione era angosciante, si sentiva nauseato. In lui premevano le stesse emozioni che aveva sentivo al Talamasca la prima volta che c’era stato: in quell’occasione il suo istinto lo aveva condotto all’acquisto di oggetti stravaganti.
    Il fascino occulto e misterioso che la villa aveva su di lui lo ipnotizzava, dovette concentrarsi molto per distogliere lo sguardo.

    In tal modo si accorse della loro presenza: le uniche due persone oltre a lui a star fissando la dimora abbandonata. La prima era una donna esile dai lunghi capelli, piuttosto bassa se paragonata al ragazzo che le era accanto. Lui, bene o male alto quanto Franz, aveva in comune con la donna un aspetto leggermente gracile, forse erano fratelli. Stringendo al corpo il fagotto contenente la grossa arma, Franz rimase in attesa. Calcolò rapidamente che dovevano essere separati da una dozzina di metri, non poteva sentire cosa si dicessero ma lei appariva piuttosto allegra. Sembrava carina, era presto per esserne certo ma sembrava carina. Non carina quanto Amy ma carina. Da una rapida occhiata notò che il pugnale legato alla coscia dormiva ancora: ottimo segno. Secondo Carla, ammesso che fosse onesta, quell’arma si sarebbe dovuta illuminare in presenza di alcune creature. Il giardiniere aveva i suoi dubbi. Non che fosse particolarmente scettico ma sentirsi parlare di magie e vampiri da un avvocato con l’hobby per lo stalking lo metteva a disagio. In ogni caso quando i due attraversarono li seguì a distanza e, nell’inferno urbano delle due carreggiate, giunse sul loro stesso marciapiede con qualche secondo di ritardo. Era impossibile passare inosservato, non che quello fosse il suo scopo, ma sperava che non si fossero resi conto di essere spiati. Di nuovo si lasciò abbagliare dal fascino della casa, improvvisamente vicina, sperando di apparire come un qualsiasi perditempo.


    Codici di » Franz

  7. .

  8. .

    00. Padre e figlio








    Franz Hopper
    Punti Vita: 115/115
    Punti Difesa: 27/27
    Bonus ai Punti difesa per schivare: 1
    Riduzione del danno: 0

    Note
    - Caratteri totali: 62.943
    - Purtroppo, utilizzando un pc non mio e privo di mouse, per questa volta non posso evidenziare il discorso diretto con altri elementi oltre il segno "-". Mi scuso per il disagio di chi dovrà leggere

    Inventario
    Nessuno




    Il freddo pungente feriva le guance prive di peluria di Franz. Stretto nel felpone nero di lana, improvvisamente troppo leggero per il clima gelido, il giovane si chiese come avesse fatto, poche ore prima, ad attraversare l'intero isolato per giungere al timone. Al suo fianco, pochi centimetri più alto e con il viso affondato nel bavero del cappotto blu, suo padre batteva i piedi a terra nel disperato tentativo di scaldarsi. Un lampione, poco distante, gettava la luce giallastra lungo la strada allungando le allampanate ombre delle poche persone presenti in un paesaggio surreale. Amy, avvolta in una giacca di pelle comprata in un qualche negozio di abiti usati, sfregava tra loro le mani intirizzite e rese cerulee dal gelo, e di tanto in tanto vi alitava sopra piccole nuvole vaporose. Soltanto Manny, con addosso una maglia sformata dalla stazza, sembrava trovarsi perfettamente a suo agio, mentre armeggiava piuttosto rumorosamente con il chiavistello della porta. - Porca puttana - imprecò, la voce stridula per lo sforzo - Questo fottuto affare si inceppa in continuazione, cazzo! -. La grossa mano, stretta sul pomello arrugginito, menava pesanti colpi a ritmo con i profondi respiri dell'uomo che cercava in ogni modo di far combaciare il foro nel muro con la serratura di ferro. Ogni tentativo falliva miseramente ed egli sempre più spazientito iniziava a menar colpi e calci per sfogare la rabbia repressa. - Porca puttana! - urlò d'un tratto, rompendo il pesante silenzio sceso su di loro - Fottuto figlio di puttana! -. Gli sproloqui si perdevano tra le strade tortuose ed i viali alberati, il giardiniere temeva che qualcuno potesse sentirli. Si guardava intorno con circospezione ogni volta che l'oste lanciava al vento un' imprecazione, ma mai una luce brillava tra le imposte e i vetri spessi.

    Nessuno dei presenti sembrava intenzionato ad aiutarlo: il freddo rallentava le menti e congelava i cuori. Quando si udì il chiavistello sbattere con foga contro il telaio di legno dell'uscio, fu Amy a rompere di nuovo il silenzio con la sua voce dolce. - Senti - domandò - Perché non lasci perdere? Ci puoi sempre tornare domattina -. Manny si voltò a fissarla, il volto paonazzo e la fronte madida di sudore; sbattè con foga la porta ma neppure ciò sembrò sufficiente ad infilare le sottili aste di ferro nei buchi preposti sulla parete. - Lascia stare un corno! - le rispose - Col cazzo che lascio aperto il mio prezioso locale tutta la notte! Ma ci pensi alle stronzate che dici? E poi che cazzo faccio, eh? Sentiamo! E se mi entrano a rubare? E se qualche testa di cazzo mi mette a fuoco tutto? E se quei ragazzini frocetti di merda vengono qui ad incularsi? Eh, che faccio? -. Lo sguardo duro con cui lo colpì il padre di Franz fece desistere l'uomo dal proseguire ed egli si voltò di scatto nel tentativo di ultimare il compito. Quanto detto aveva però catturato l'attenzione del giardiniere che ritenne poco opportuno lasciarsi sfuggire l'occasione tacendo. - Che ragazzini? - chiese ai presenti sperando che fosse la ragazza a rispondergli piuttosto che l'uomo. - Lascia stare - si affrettò a chiarire lei - E' solo una cosa che dicono da queste parti, ma non è vero niente. La dicono tanto per dire. E' una storia assurda che si sono inventati al pub o hanno sentito chissà dove -. Aveva una voce splendida, era incantevole osservare le labbra carnose aprirsi e chiudersi mentre parlava. - Storia un corno! - giunse in risposta dall'altro lato della strada assieme ai secchi rumori prodotti da Manny - E' tutto vero, lo sai! Perché non glielo racconti? Perché non gli dici cosa fanno i fottuti ragazzini dell'orfanotrofio? -

    - Non è vero! - urlò lei in risposta - Sono solo stronzate che vi siete inventati! Sono solo grandissime cazzate! -. Per la seconda volta in pochi minuti il corpulento ristoratore interruppe il tormentato lavoro per osservare con odio la fanciulla: gli occhi scuri sembravano iniettati di sangue. - Sai bene che non è così - insistette, la voce stranamente bassa e sibilante - Lo sai che sono stati beccati, l'hai sentito quel poliziotto la settimana scorsa. Pensi che ci siamo inventati anche questo? Eh, secondo te ce lo siamo inventati? Ci siamo sognati quello che diceva, eh? Tutti insieme? Avanti, diglielo, forza, digli cosa diavolo fanno i suoi amati ragazzini del cazzo dell'orfanotrofio... Quelle teste di cazzo! -
    Il padre di Franz, rimasto in ascolto durante il breve battibecco, attraversò a lunghe falcate i pochi metri di cemento che lo separavano da Manny. Il ragazzo era certo che stesse per colpirlo e appariva turbato da quanto si stava dicendo, invece l'uomo si limitò a prestare il proprio aiuto commentando a bassa voce: - Sbrighiamoci ad andarcene -.
    La più mortificata dei presenti sembrava essere Amy che, ancora alle prese con il freddo, tremava nella giacchetta autunnale non adatta all' inverno. Il ragazzo, dal canto suo, era ansioso di sapere cosa si dicesse sui bambini dell'orfanotrofio di Nostra Signora del Mare: lo stesso collegio in cui era cresciuto e nel quale prestava servizio ogni giorno. Di nuovo era sceso un silenzio pesante e freddo, come se il gelo troncasse le parole sul nascere. - Amy - si ritrovò a supplicare, com'era bello pronunciare il suo nome - Per favore, dimmi di cosa si tratta -

    Si sentiva molto legato a quegli orfani, ai figli rinnegati di marinai e prostitute, soli e bisognosi d'aiuto, vittime loro malgrado di una guerra chiamata "sopravvivenza". La ragazza era in imbarazzo, lo si capiva dal rossore sulle guance delicate e da come aveva smesso di combattere il freddo limitandosi a schivare gli occhi marroni del giovane. - Sì ragazza, diglielo! - la incitò Manny, ancora alle prese con l'ostile serratura. Franz sentiva suo padre sbuffare di tanto in tanto per lo sforzo, ma la sua attenzione era catturata dalle labbra color sangue dell'esile donna. - Non so quanto sia vero - cominciò lei - Ma sembra sia una storia che va avanti già da un po', forse da un anno, non lo so. Pare che, ogni tanto, un gruppo di ragazzini del convento venga avvistato in qualche angolo del South Side. Il fatto è che chi li ha visti dice che si tratta di dieci o dodici ragazzini, tutti minorenni, sui quattordici o quindici anni, per lo più maschi ed anche qualche femminuccia -
    Il giardiniere si rese conto di aver trattenuto il respiro per gran parte del racconto: sentiva la gola avvampare ed il viso paonazzo. Fino a quel punto non aveva udito niente di preoccupante. accadeva spesso che i ragazzi dell'orfanotrofio, raggiunta una certa età, fossero lasciati liberi di uscire da soli nel tardo pomeriggio o comunque prima di cena: anzi molti ne approfittavano per cercare un lavoretto e racimolare qualche soldo. Forse non era una faccenda grave come il birraio voleva far credere: poteva darsi che i giovani gli fossero antipatici e basta. I vorticosi pensieri vennero interrotti nuovamente dalla voce di Amy che riprese il racconto.

    - Devi capire, li hanno visti un sacco di volte in giro, ma nessuno ha detto niente perché li conoscevano, erano di Nostra Signora, tutti pensavano che facessero consegne o portassero pacchi, roba così. Spesso li si vedeva entrare tutti insieme in una palazzina, o in un portone, oppure andare in qualche vicoletto ma nessuno si preoccupava. Erano un bel gruppetto, pare quasi sempre almeno una decina, quindi stavano tranquilli. Cioè, nessuno si preoccupava perché erano di qui, capito? -
    Appariva davvero in imbarazzo, non seccata ma titubante, quasi si vergognasse dei pettegolezzi che stava riportando. - Pettegolezzi, sì - pensò il giovane, perché tali apparivano alla sua mente, racconti da bar. Che si formassero dei gruppetti di ragazzini poteva anche essere, ma che se ne andassero a bighellonare per i vicoli del South Side era fuori discussione: le suore ed i frati erano molto metodici a riguardo ed insegnavano ai bambini fin da piccoli i rischi che correvano lungo le strade. Egli stesso sentiva ancora stampate a fuoco nella memoria le raccomandazioni, gli avvertimenti ed i rimproveri ricevuti quand'era piccolo. Potevano essere andati a spasso, forse, ma di certo non come la sua coetanea raccontava. In ogni caso non intendeva interromperla: era stupendo star fermo ed ascoltare la sua voce.
    - Insomma, li hanno visti in molti, ok? - riprese - Erano sempre in giro, o così dicono. Con il passare del tempo si vedevano sempre più spesso uscire da qualche vecchio palazzo o da qualche appartamento abbandonato. Alcuni dicono che andavano pure tra i container del porto ma non ci credo... Insomma, era sempre 'sto gruppetto di ragazzini, ogni tanto si vedeva pure qualche ragazza ma per lo più erano maschi. E uscivano sia il pomeriggio che la notte, andavano in questi palazzi vecchi, e la gente sentiva dei rumori strani. Dove loro andavano si sentivano dei rumori per un po' di tempo, poi se ne andavano e tutto finiva. Alcuni, non so chi, si sono lamentati perché facevano casino. Ma erano dei bambini, insomma tutti pensavano che andassero a giocare o qualcosa di simile. Ogni tanto qualcuno si affacciava e urlava loro di andarsene e quelli sparivano. Poi andavano da qualche altra parte e facevano baccano. Non sembrava niente di strano, roba da South Side -

    Aveva ragione: era roba da South Side. I bambini chiassosi erano roba da South Side. Gli orfani erano roba da South Side. Un sacco di cose erano roba da South Side. Franz era comunque curioso, gli sarebbe piaciuto saperne molto di più a riguardo ma intuiva che non vi fosse bisogno di chiedere, che se avesse dato tempo e modo ad Amy avrebbe scoperto tutto. Gli parve doveroso annuire con aria preoccupata, mentre incitarla a parlare sarebbe parso da maleducati. Non che si aspettasse chissà cosa da quella storia: sicuramente si sarebbe risolta con una stupida battuta, ma voleva ascoltare fino alla fine.
    - Un pomeriggio una signora che vive all'ultimo piano di un condominio sente le voci di un sacco di ragazzini fuori sul pianerottolo. Poco dopo sente degli strani rumori e si spaventa, forse pensava che volessero rapinarla, non lo so. Insomma chiama la polizia e arriva un agente con la volante a sirene spente. Il poliziotto sale in punta di piedi ed inizia a sentire gli stessi rumori della signora. Noi lo sappiamo perché poi è venuto al Timone a bere, e ce l'ha raccontato, anche se non so se sia vero oppure no. Insomma questo poliziotto arriva di soppiatto sul pianerottolo ed assiste ad una scena assurda -
    Si rendeva conto di essere così bella? La chiusura lampo del giacchino accentuava il profilo del seno, non eccessivamente prospero, ma delizioso. Le gambe sottili, squisitamente lunghe, erano strette in jeans azzurri con qualche strappo e segni d'usura. I piedini calzavano stivali a mezza gamba. Aveva uno stile riservato e provocante al tempo stesso, vestita della sua innocente bellezza. Non portava trucco, questo particolare colpì il giovane; né il rossetto sarebbe stato necessario ad accentuare le morbide labbra.

    Durante la serata non gli era parso di vedere smalto sulle corte unghie. Manny e suo padre erano ancora indaffarati con la serratura del locale: sarebbe rimasto lì fermo a sentirla parlare tutta la notte. Solo dopo un tempo che a lui parve infinito, si rese conto che il suo volto era arrossato: carezze rubino le avvampavano sulle guance. Si era accorta che la stava fissando? Probabilmente sì. Appariva così ridicolo? Certamente. Si sentì dannatamente in colpa. Non prestava neppure attenzione a cosa stesse dicendo, danzava a ritmo del suo caldo respiro. Fatta eccezione per qualche bestemmia e diversi sbuffi, tutto taceva nella notte attorno a loro, i palazzi bui sembravano navate di una gigantesca cattedrale alla quale il cielo terso faceva da soffitto. Sì, era veramente in imbarazzo, ma per cosa? Per quanto stava raccontando? Il ragazzo non lo riteneva così scandaloso. Forse lei era molto più pudica di quanto pensasse, poteva darsi che si vergognasse a parlare con un suo coetaneo. No, non poteva essere quello il motivo. Allora cos'era? Come già era successo la delicata voce di Amy lo distrasse dai suoi pensieri.
    - Insomma - aveva ripreso a raccontare, anche se con molta incertezza - Il poliziotto arriva... E trova questi ragazzi in cerchio... Sul pianerottolo -. Faceva una breve pausa dopo ogni parola, ascoltarla stava diventando uno strazio. Cosa c'era di così difficile da dire? Franz era ansioso di sentire il suo tono tornare allegro e leggiadro come lo ricordava, che dispiacere sentirla così titubante. - Insomma - balbettò - Lui... Arriva... Lì vede tutti lì... In cerchio... Uno accanto all'altro... Tutti pressati... E li vede... Insomma... Con i pantaloni calati... E al centro... Al centro vede... Insomma... Ci sono due... Due ragazzini che... Cioè... Uno sta gattoni per terra e l'altro... Insomma... L'altro gli sta sopra... E, beh... Sì... Insomma... Lo fanno... E tutti gli altri... Tutti con i pantaloni abbassati... Stanno lì... Insomma osservano... E con i pantaloni... Non so come dirlo! -

    Amy si voltò di scatto così rossa da apparire febbricitante. Fu un vero peccato perdere contatto con i suoi bellissimi occhi ma il racconto stava scuotendo le viscere del giardiniere che sentì un pesante mattone poggiato sulla bocca dello stomaco mentre un altro precipitava sul petto. - E' impossibile - si disse - I ragazzini di Nostra Signora del Mare non lo farebbero mai... Non ci credo -. Non ci credeva sul serio: i suoi amati orfani potevano essere dei veri piantagrane, potevano essere dispettosi e a volte un po' cattivelli, ma fare una cosa del genere mai. Erano bambini cresciuti nell'innocenza tra suore e frati, non si sarebbero mai permessi un simile peccato carnale. Non solo dubitava delle parole della ragazza, dubitava perfino di quelle del poliziotto e di Manny. Forse quanto detto era accaduto realmente, ma non potevano essere stati i ragazzini, dovevano averli confusi con altri. Forse somigliavano a loro, ma di certo erano degli altri. Quella volta fu la voce del corpulento birraio a ricondurlo violentemente alla realtà nella notte fredda.
    - Si inculavano, cazzo! - grugnì assestando un vigoroso colpo alla porta che emise un sonoro schianto in risposta - Quei frocetti si inculavano come dannati e tutti i loro amichetti finocchi stavano lì e osservavano. Si ammazzavano di seghe anche loro, cazzo! Perché volevano partecipare!-
    Sembrava che anche l'uscio volesse sentire il finale della storia, infatti solo quando l'uomo ebbe urlato ai quattro venti la verità, si decise a chiudersi facendo cigolare il pesante chiavistello. Manny diede vari giri di chiave finché non fu certo di aver compiuto il proprio operato. - Cazzo - commentò mettendo la chiave in tasca - Ora capisci con che razza di gente hai a che fare? Il tuo orfanotrofio è pieno di quei frocetti pezzi di merda! -.

    Aveva il viso paonazzo ed il fiato corto, perfino il padre di Franz appariva accaldato e stanco. Quei due dovevano aver lottato parecchio mentre lui era distratto, ma ancora non credeva a quanto gli era stato detto. Era qualcosa di surreale, come un'idea astratta che faticava a realizzare. I ragazzini di Nostra Signora del Mare colti in flagrante da un poliziotto? Impossibile! La voce si sarebbe sparsa. Inoltre, se qualche ragazzo avesse avuto dei problemi con la legge lui lo avrebbe saputo: in fin dei conti lavorava e viveva nel convento. No: per quanto riservati, suore e frati non avrebbero potuto tenere nascosta una notizia del genere, si sarebbe sparsa la voce. Franz ci pensò di nuovo ma giunse comunque alla stessa conclusione: se un orfano fosse stato arrestato, lui l'avrebbe saputo. Si reputava un membro abbastanza importante del convento: godeva della fiducia e dell'amicizia di padre Lone, lui non gliel'avrebbe tenuto nascosto. Inoltre era stato anche lui in collegio, era un punto di riferimento per i ragazzini, tanto che considerava se stesso, per loro, un esempio da seguire.
    Amy era distante con la mente e con gli occhi. Non voleva incrociare i suoi, faceva di tutto per evitarlo e ciò significava solo una cosa: credeva ad ogni parola pronunciata. Il suo piccolo, perfetto mondo gli stava crollando addosso e le labbra cercarono un ultimo barlume di speranza prima ancora che la mente riuscisse a formulare un pensiero coerente. - Aspettate, e poi? - si ritrovò a chiedere - I ragazzi sono stati arrestati? L'avrei saputo -. Aggiunse l'ultima frase con tono lagnoso e stanco, quasi dubitasse di ciò che aveva detto. Il gruppo di notturni avventurieri si era riunito e procedeva lungo i luridi marciapiedi del South Side. Amy camminava al fianco di Franz che aveva alla destra suo padre, Manny, per ultimo arrancava sull'asfalto. Per quanto fosse bello averla al suo fianco, il giovane si sentiva confuso e ferito nel profondo, il freddo pungente attanagliava le viscere.

    - Beh... Insomma... Il poliziotto - rispose, dopo un lungo silenzio, la ragazza che, passato il momento di imbarazzo, sembrava tornare al suo colorito naturale - Quando ha saputo che erano orfani di Nostra Signora del Mare... Lui... Insomma, li ha lasciati andare. Non li ha neppure segnalati: ha preferito fare così! -
    Folle. Era tutto decisamente folle. Nella mente del giardiniere i volti dei fanciulli si sovrapponevano ad allarmante velocità, cercava di ricordare il nome di tutti loro (anche se erano poco più di una trentina) e cercava di capire chi potesse essere stato, a chi chiedere, cosa fare. Doveva parlarne con padre Lone? Lui ne era al corrente? Quanto si era sparsa la voce? Se l'agente con la lingua lunga frequentava il Timone, di certo tutto il quartiere avrebbe sentito il nuovo pettegolezzo circolante, ed il fatto che anche il birraio lo sapesse peggiorava solo le cose. Sì, doveva parlare con padre Lone, lui avrebbe saputo cosa fare. - Non dirlo a padre Lone - sentì ordinare dal suo vecchio con voce dura - Non parlarne con nessuno. -
    Era come se gli avesse letto nel pensiero, si sentì rabbrividire. Gli occhi dell'uomo, scuri quanto i suoi, erano freddi ed inespressivi. La mascella serrata controvento lasciava intravedere il profilo sottile delle labbra. I pesanti passi dei quattro, quasi sincronizzati, si perdevano tra i gelidi sospiri invernali. Ancora più confuso, Franz non riuscì a tacere in presenza del padre. - Perché scusa? - domandò l'impulso - Perché non dovrebbe saperlo? -
    L'uomo si strinse nel bavero del pesante giaccone e forse stava per rispondere, quando la roca voce di Manny, a tratti sopraffatta dalle raffiche di vento, giunse per lui: - Porca miseria, credi che quel porco non lo sappia già? -
    La collera salì rapida come il sangue che sentiva pulsare nelle tempie, il suo volto parve avvampare e per la seconda volta in quella serata percepì uno strano formicolio sui palmi delle mani. Si era fermato a pugni serrati, fissava l'oste in un moto di rabbia cieca e violenza. Il resto del gruppo mosse pochi passi prima di accorgersi della sua assenza: la fanciulla che li accompagnava parve sorpresa, invece gli altri due uomini si mostrarono rassegnati e indolenti. - Questo non glielo permetto - ringhiò Franz con voce bassa - Non si azzardi a dare del porco a padre Lone! Non si permetta d'insultarlo! -

    Come osava? Un lurido e obeso mozzo di mezza età non avrebbe mai dovuto usare parole così offensive verso un uomo gentile e buono come quel prete! Era stato un padre per lui e per tutti i ragazzi di Nostra Signora del Mare: un esempio di bontà e gentilezza, un modello per tutti. I ricordi che aveva il giardiniere erano molti e di vario genere, ma non c'era stato giorno in cui il sorriso di Bartolomeo Lone non gli avesse scaldato il cuore. Con il suo modo di fare goffo e un po' impacciato, i suoi comportamenti gentili e disponibili, aveva mandato avanti il collegio per anni. Se il giovane avesse potuto vedere esaudito un proprio desiderio, avrebbe chiesto che padre Lone rimanesse in carica per lungo tempo. - Non si permetta d'insultarlo! - ripetè più forte.
    Perché il suo vecchio lo guardava in quel modo? Era un misto di tristezza e rassegnazione? Non sapeva dirlo. Gli sembrava che fosse in pensiero per qualcosa, ma anche dispiaciuto per quanto stava accadendo. Perché lo fissava con occhi profondi, quasi gli scrutasse l'anima? E Manny, perché Manny aveva improvvisamente abbandonato l'aspetto di un rozzo cinquantenne? Da quando il suo sguardo rivelava molti più inverni in alto mare di quanto si pensasse? Cosa sapevano loro che lui ignorava e sopratutto perché la faccenda gli stava tanto a cuore?
    - Non sapevo che nutrissi un così profondo rispetto per quell'uomo - commentò il birraio, mai Franz aveva udito la sua voce così pacata e dignitosa - In tal caso, mi scuso per quanto ho detto -
    Il ragazzo sentiva le ginocchia cedere: cosa stava succedendo quella sera? Prima la rissa, poi suo padre ed infine l'oste che parlava in maniera tanto forbita? Troppo stress per un lasso di tempo così breve: aveva bisogno di riprendersi. Amy appariva stupita quanto lui, se non di più, con gli enormi occhi sgranati all'inverosimile. L'unico a suo agio, nello stupore generare, era l'addetto alle telecomunicazioni: l'impassibile uomo di mare che aveva dato la vita ed il cognome al giardiniere. - Devi capire - giunse da quest'ultimo - Che il mondo non è proprio il posto che tu immagini... E neppure le persone. -

    Cosa sapevano quei due che lui ignorava? Probabilmente molte cose, lo sentiva, ma era difficile pensare razionalmente. - Cosa stai insinuando? - ebbe la forza di chiedere.
    L'uomo gli diede le spalle riprendendo a camminare, e rapidamente fu raggiunto dagli altri. - Kevin Itan Hopper - chiamò Franz - Non pensare di potermi ignorare in questo modo! -
    Lo aveva fatto, aveva fatto una cosa che non faceva da almeno un decennio: chiamare suo padre per nome. Tra l'altro per nome intero.
    Profonda vergogna.
    Massimo disonore.
    Se si fosse voltato con l'intento di sparargli, non avrebbe avuto molto da ridire: forse solo un'ultima preghiera. Sì fermò, questo sì, ma non gli sparò. In effetti, non era neppure certo che avesse una pistola da puntargli contro. Lo fissava con tristezza o pietà, era difficile dirlo: gli scuri occhi lucidi. - Ne parleremo - promise - Ma ora camminiamo, il gelo raffredderà gli animi. -
    Attraversarono l'incrocio deserto a passi pesanti: tutti troppo intirizziti per pronunciare parola. Un semaforo spento brillava ad intermittenza sulle loro teste, la luce giallastra era simile al pallido sole morente. Quando furono dall'altro lato, Manny ruppe il silenzio con un cupo brontolio: - Cazzo di freddo... Mi si stanno congelando le palle. -
    La fragorosa risata che ne seguì era forzata e pesante: nessuno si sentiva in vena di scherzi, eppure avrebbero fatto qualsiasi cosa per ripristinare un po' della perduta normalità. - Insomma, Manny - lo riprese Amy - Modera il linguaggio! -

    - Modera il linguaggio un corno, cazzo! Se fa freddo, fa freddo! Non cagarmi il cazzo, ragazzina! -
    - Santo cielo, Manny - intervenne il padre di Franz - Certo che ne sono cambiate di cose negli anni!-
    Il bonario rimprovero dell'uomo parve mettere in imbarazzo l'oste, le cui guance avvamparono. - Va beh... Doc... Ma le cose... Oh, cazzo... Va beh... Scusami. -
    Era sorprendente vedere il birraio, il grosso e rude proprietario del Timore, messo alle strette da un uomo che doveva pesare la metà di lui ed avere l'aria di un cucciolo indifeso. - Insomma, Manny! - commentò allegramente la ragazza - Finalmente qualcuno che riesce a metterti in riga! Era ora! -
    - In riga un cazzo, ragazzina, porto solo rispetto per un superiore! - ottenne in risposta - Quest'uomo mi ha salvato la vita un milione di volte! Il mio culo non sarebbe qui senza di lui, e tu staresti battendo qualche marciapiede in questo momento, chiaro? E che cazzo! -
    Il discorso sembrava farsi interessante: erano anni che il giardiniere non sentiva qualche racconto di quando il suo vecchio serviva attivamente per la Marina Militare. La curiosità brillava anche negli occhi della sua amica che non doveva aver mai udito discorsi simili. - Quindi - trovò doveroso precisare - Tu sei stato davvero nella Marina? -
    Poco mancò che fosse aggredita dall'uomo quando le urlò contro in risposta. - Se sono stato in Marina? Ma mi prendi per il culo? Certo che ci sono stato, scema, ed anche per un sacco di anni! Chiedi a doc se non mi credi! Chiedi! Avanti! -
    Kevin Itan Hopper annuì in segno d'assenso. - Eccome - precisò - Samuel ha svolto diverse missioni con noi, e non come semplice marinaio: era nei reparti speciali. -

    All'inizio Franz si chiese di chi stesse parlando, poi intuì che "Manny" non poteva essere il vero nome dell'uomo. Amy appariva sconvolta e confusa quanto lui. Era sbalorditivo sentire due eroi del passato discutere con assoluta naturalezza del passato, lungo le strade buie e fredde del South Side. Quasi animati da una coscienza di gruppo, i quattro svoltarono l'angolo ed attraversarono la strada: in lontananza il giovane poteva scorgere il campanile di Nostra Signora del Mare, ma sapeva bene che mancavano ancora diversi isolati prima di arrivare al convento. Dove avrebbe alloggiato suo padre? Non si era posto il problema. Solitamente quando approdava per fargli visita, soggiornava in qualche albero vicino al porto o, al massimo, negli appartamenti messi a disposizione dalla Marina Militare; ma poiché si trattava di visite saltuarie e molto brevi (di rado superavano i due giorni), il figlio non si crucciava mai più del necessario. Nell'eventualità c'era abbastanza spazio nella sua stanza? Naturalmente. In ogni caso era sempre disponibile una cella del convento per i frati che giungevano da lontano. Padre Leone non avrebbe fatto storie: lui e il suo vecchio si conoscevano da anni. Il giovane ignorava come fosse nato il loro rapporto, ma sentiva che i due erano stretti da un'amicizia quasi fraterna: per questo il convento di Nostra Signora del Mare era una dimora perfetta. - Papà - domandò - Hai un posto dove dormire? -
    Ottenne in risposta un gesto elusivo della mano. - Non preoccuparti - gli sussurrò sulla spalla - Non ne ho bisogno. -
    Il giardiniere avrebbe voluto approfondire l'argomento, ma non ce ne fu modo: Kevin, ignorato completamente il figlio, si stava lanciando in un entusiasmante racconto. - Saranno passati... Quanto? Sedici anni? Era il 24 Novembre. Venticinque miglia nautiche a largo delle coste di Dilagon City. Operazione "Controvento": così la chiamavano all'epoca. -

    - Si chiamava così perché chiamarla "Andate a farvi fottere tutti quanti" non andava bene, vero doc? - giunse in supporto Manny - Quel porco di Blake, lurido figlio di puttana! Dovevo sparargli in culo, dovevo, l'ultima volta che l'ho visto! Se solo l'avessi saputo! Non ho ragione, eh? Se tutti noi lo avessimo saputo, vero doc? -
    L'uomo, fattosi taciturno, teneva gli occhi fissi davanti a lui, senza soffermarsi troppo a lungo su ciò che osservava. La mente vagava lontano, verso i ricordi di un'altra vita: ricordi che sembravano molto dolorosi. - Se lo avessimo saputo, Samuel - rispose - Molte cose sarebbero andate diversamente -
    - Insomma, volete rendere partecipi anche noi? - domandò Amy, tagliando loro la strada - Dai, raccontateci! -
    La risata fragorosa in cui scoppiò Kevin fu una delle più sincere e spontanee che suo figlio avesse mai udito. Oramai nessuno si curava più del freddo né della strada, che percorrevano sempre più lentamente, fermandosi dopo gli incroci e ad ogni panchina disponibile. I due uomini si lasciarono sedere, una sigaretta si era accesa tra le labbra di entrambi prima che l'oste parlasse: - Cazzo - imprecò - Da dove iniziare? C'è n'è così tanto da dire, porca puttana... William Blake... Quel figlio di puttana! William Blake... Grandissimo stronzo! Porca miseria, con quella fottuta operazione ce lo mise nel culo a tutti quanti... Mio Dio, tutti quei ragazzi! Mike, Ann, Goth, Law... Per non parlare di Sam e Terry! Porca puttana! Tutti loro... Tutti quei ragazzi! -
    - Loro chi? - ottenne in risposta dal giardiniere. Fu suo padre a prender parola, dopo una lunga sbuffata di fumo denso. - Sta parlando del nostro battaglione - spiegò - Anzi, della nostra squadra. La squadra operazioni speciali del sesto battaglione San Michele, Marina Militare. "Gli angeli del mare", così ci chiamavamo. Truppe di incursori: ecco cosa eravamo. -

    Il suo sguardo si perdeva nel cielo scuro, non sembrava essere consapevole di quanto dicesse. Appariva in trance, quasi ipnotizzato e molto coinvolto in ciò che raccontava: la voce inespressiva, sottile, veniva fuori dalla gola con delicatezza.
    - Michael Aaron - elencò - Ann Lavrine, Vlad Maschow detto Goth, Lawrence Hill, Samuel Becket e Terence Blake -
    Si era improvvisamente chiuso in un pesante silenzio, anche gli occhi di Manny sembravano scrutare con insistenza l'asfalto consunto. - Noi eravamo... Noi eravamo... Una squadra... Una famiglia, grandi amici, tutti quanti. Se quel 24 Novembre avessi immaginato cosa sarebbe accaduto, non avrei mai... -
    Dovette interrompersi e Franz ne conobbe subito il motivo, vedendo piccoli diamanti balenargli tra le palpebre: stava piangendo. Era un pianto composto, dignitoso, le lacrime di un uomo maturo che soffriva in silenzio ogni giorno, da più di una dozzina d'anni. Distolsero tutti lo sguardo in segno di rispetto, volevano concedergli qualche istante di intimità. Fu Manny il primo a parlare, dopo aver posato la grossa mano sulla spalla dell'amico. - Non è stata colpa tua, lo sai - disse con voce calda e pacata - Non potevi prevederlo... Calmati... Non è stata colpa tua... -
    - Insomma! Volete dirci qualcosa? - insisteva Amy - Non ci sto capendo niente! Che storia è questa? -
    Il ragazzo, al contrario, capiva tutto o pensava di farlo. Quegli uomini, non sapeva ancora perché, né per quale motivo, erano morti e suo padre si sentiva profondamente responsabile per l'accaduto. Manny era sopravvissuto, come lui, al 24 Novembre (qualunque cosa significasse quella data) ed attribuiva la colpa di tutto ad un certo Blake. Perché ne parlavano davanti a loro, come se la cosa li riguardasse? Anzi, perché ne parlavano davanti a lui? Era chiaro come la giovane fosse una testimone involontaria messa lì dagli eventi. La fissò per l'ennesima volta quella sera. Com'era bella: gli occhi profondi erano pieni di curiosità, le labbra tremolanti dall'eccitazione e le gambe esili saltellavano da un piede all'altro.

    - Erano da poco passate le ventidue - spiegò celermente suo padre - Il bersaglio era a venticinque miglia nautiche dalle coste di Dilagon City, in acque internazionali. Vento a quattro nodi da sud ovest. Mare mosso, intensità quattro. Precipitazioni frequenti e abbondanti. Visibilità scarsa. Forti raffiche -
    - Piano, piano, piano! - lo interruppe l'oste notando lo sguardo di stupore sugli occhi dei giovani ascoltatori - Così non capiranno niente doc. Dovresti andarci piano -
    Kevin parve scuotersi da un dolce torpore, fissava i due come se non li vedesse da tempo. Era precipitato nuovamente in una sorta di trance, quasi parlasse per sé stesso piuttosto che per altri. - Scusami - balbettò - Sono... Piuttosto confuso -
    La mano dell'amico era scivolata lungo la schiena e si muoveva in grossi cerchi sulla giacca pesante cercando di rassicurarlo. - Non preoccuparti - disse dolcemente - Tranquillo, ci penso io -
    Era la prima che Franz vedeva suo padre sotto shock, anzi era la prima volta che gli appariva finalmente per ciò che era: un comune essere umano. Si sentiva angosciato nel vederlo inerme su quella panchina, vestito con gusto e semplicità, scoprire il proprio cuore ed i propri sentimenti. Singhiozzò mestamente, al giovane venne istintivo voltarsi dall'altro lato. Pochi attimi dopo sentì il birraio parlare. - Lasciate che vi spieghi - disse - Per raccontarvi quanto accadde quella notte devo raccontarvi di noi, di chi eravamo e di cosa facevamo -

    Non trovò obiezioni in questo, entrambi erano ansiosi di sapere di più sulle persone nominate poco prima e le avventure che le avevano riguardate. Il tarchiato signore inspirò un'ultima boccata di fumo e lanciò via il mozzicone giallognolo che si spense sull'asfalto. - Molto bene - iniziò - Per prima cosa... Per prima cosa credo di dovervi parlare di me. Come tutti i membri della nostra squadra anch'io sono di Dilagon City. Ho frequentato il college in un piccolo quartiere di periferia. Mio padre era un poliziotto, mia madre una sarta. Ero il primo di tre fratelli. Al college praticavo lotta greco - romana e mi è valsa qualche medaglia ed una borsa di studio. Mi sono laureato in ingegneria navale, sono stato il primo a farlo in famiglia, e sono entrato nella Marina. All'inizio mi occupavo di progettazione e sviluppo di corazzate, soprattutto per quanto riguardava il telaio e la struttura esterna, poi sono passato allo studio dei punti deboli delle imbarcazioni. In un paio di anni ho imparato come far affondare quasi ogni tipo di nave con poche cariche ben piazzate ed ho inventato qualche nuovo metodo. Il mio compito era affondare le chiatte malridotte che non potevano essere smaltite con la procedura ordinaria. Ero molto bravo nel farlo ed in poco tempo qualcuno fiutò che lo stesso sistema poteva essere adoperato contro navi nemiche -
    Si concesse una breve pausa per osservare gli sguardi attoniti di Franz ed Amy. I due, rinnegato ogni regola di buoncostume, lo fissavano palesemente estasiati ed increduli. Il giovane si sentiva meravigliato e scettico al tempo stesso. Faticava nel credere a quanto uscisse dalle labbra dell'uomo che appariva ai suoi occhi un tarchiato cinquantenne. Anche quando lo aveva visto lottare poco prima non aveva pensato neppure per un istante che potesse aver davvero prestato servizio nella Marina Militare: era così goffo ed impacciato! Incontrava molte difficoltà nell'immaginarselo laureato, per di più in ingegneria navale! L'intera storia appariva assurda, quasi priva di fondamento, poco più di qualche chiacchiera da bar.

    Eppure vi credeva fermamente. Credeva in ogni singola parola. Non sapeva spiegare da cosa nascessero tali certezze nè cosa, dentro di lui, gli avrebbe fatto mettere la mano sul fuoco in difesa di Manny. Forse era la presenza di suo padre ad ispirargli tanta fiducia. I due si conoscevano da tempo, gli aveva salvato la vita, ed il vecchio era stato un soldato eccezionale. In casa non avevano mai parlato dei suoi trascorsi nelle forze speciali, non ce n'era mai stato il tempo, ma da varie fonti il giardiniere aveva appurato alcuni dei suoi successi nel trascorso decennio. Il birraio era stato davvero molto astuto per riuscire a nascondere il proprio turbolento passato. Alla luce di quanto scoperto quella del Timone appariva come una vera e propria copertura, un'ottima fonte di sostentamento che lo teneva alla larga dai guai ma gli permetteva di essere sempre aggiornato su quanto accadeva a Dilagon City. Astuto, veramente molto astuto da parte sua. Chissà se anche Amy era giunta alle stesse conclusioni, non sapeva dirlo e non ebbe il tempo di voltarsi a controllare perché intanto Manny aveva ripreso il suo racconto. Lo fissava con insistenza, temeva di perdersi qualcosa distogliendo lo sguardo anche solo per un istante.
    - Per farvela breve - spiegò - A qualcuno venne in mente una bella idea: se era così facile affondare una propria nave perché non fare lo stesso con le navi nemiche? Erano tempi difficili per questa città: il porto era grande, quasi quanto lo è adesso, ma molto meno controllato. Il contrabbando la faceva da padrona e c'erano abbastanza soldi per corrompere un sacco di gente a Dilagon City. Arrivavano chiatte dal mare aperto piene di merci: stecche di sigarette, alcool, di tutto! Non ci volle molto prima che iniziassero a circolare anche armi: fucili mitragliatori, pistole di grosso calibro, carabine, addirittura qualche testata missilistica. Questo posto stava diventando una polveriera! Una volta arrivate, le armi circolavano per le strade ed erano vendute ad organizzazioni criminali, bande o qualsiasi teppista riuscisse a procacciarsi un po’ di denaro. La polizia faceva quel che poteva ma i nostri erano davvero troppo pochi ed il lavoro da svolgere immane, ci trovavamo schiacciati su tutti i fronti. Qualcuno nelle forze speciali ebbe un’idea, anzi si limitò ad applicare una tattica di guerriglia a cui nessuno aveva pensato -

    Fu costretto ad una lunga pausa e Franz ne immaginò il motivo: doveva spiegare un concetto strettamente militare a dei civili. Non lo interruppe ed evitò di produrre qualsiasi suono potesse distrarlo, continuando a fissarlo con insistenza. Dietro gli occhi scuri gli sembrava di scorgere i neuroni dell’uomo inviarsi sull’altro segnali, diverse volte fu sul punto di parlare ma poi tacque. - Immaginate - spiegò ad un certo punto - Una lunga fila di formiche. In prima linea stanno le formiche operaie, nel nostro caso i piccoli contrabbandieri, che smerciavano pistole ed armi alla piccola criminalità. Dietro stanno altre formiche operaie, ma più brave, ovvero i grandi contrabbandieri, che vendevano armi all’ingrosso rifornendo le mafie ed il loro colleghi. Ancora più dietro stanno le formiche trasportatrici, che si occupano di portare il cibo al formicaio. Ecco, le nostre formiche trasportatrici erano le chiatte che giungevano in continuazione a Dilagon City. L’idea fu quella di troncare il commercio alla base, ovvero impedire alle navi di giungere in porto. Era un’operazione disperata che lasciava fuori centinaia, se non migliaia, di trafficanti e pesci piccoli ma i tempi erano disperati e sembrava il modo più veloce per giungere a dei risultati. Per questa ragione venni convocato: volevano che affondassi le navi di contrabbandieri a largo delle coste cittadine. Intendevano farle colare a picco con tutta la merce che trasportavano. Non guardatemi in quel modo. Anch’io, come tutti, ero scettico al riguardo: non mi sembrava opportuno affondare una nave senza un’indagine, mettendo a repentaglio la vita dell’equipaggio e certo che qualcuno sarebbe morto. Mi opposi per quel che potevo ma la decisione era già stata presa, i superiori erano così entusiasti e pomposi da darmi la nausea. Venni relegato a semplice consulente e mi fu impartito un preciso ordine: calcolare in quale punto ed in che modo un ipotetico missile a corta gittata avrebbe dovuto colpire una certa nave per affondarla. L’incarico mi disgustava ma ero maledettamente bravo nel mio lavoro: i risultati teorici dei test coincidevano con la realtà al novanta per cento. Per farvela semplice sarei stato in grado, teoricamente parlando, di affondare nove navi su dieci poste a cinque miglia nautiche di distanza dalla terraferma con un singolo colpo sparato dalla spiaggia. Non dovette passare molto tempo prima che fosse dato l’ordine di mettere in pratica quanto stavo teorizzando -

    Manny fece un’altra pausa, più lunga della precedente, durante la quale i suoi occhi si spensero. Il giovane giardiniere ipotizzò che l’uomo portasse sulle proprie spalle il fardello di molte vite umane. Non era un esperto di strategia militare né riteneva di capirne molto ma una stima approssimativa poteva farla anche lui: la manovra anticontrabbando doveva aver mietuto vittime. - Chissà cosa si prova ad uccidere - si domandò disgustandosi da solo per il pensiero raccapricciante. Sarebbe stato in grado di uccidere qualcuno? No di certo. Lui era un buono, dopotutto, lo era sempre stato. Di tanto in tanto gli prudevano le mani, questo sì, ma da quello ad un omicidio ce n’era di strada da percorrere. Anche poco prima, quand’era intervenuto in difesa del birraio, aveva provato l’istinto violento della rissa ma non quello truce della morte. Non desiderava far del male alle persone, voleva vivere in pace con tutti. I suoi serafici pensieri vennero scossi dalla voce dell’uomo che riprendeva a raccontare mentre suo padre, del tutto indifferente alla conversazione, fumava una sigaretta dopo l’altra. - Lo ricordo come se fosse oggi, sono passati esattamente ventidue anni. Era il 14 marzo. La mattinata era limpida, serenissima, neppure una nuvola in cielo. Il Sole sembrava voler spaccare le pietre, faceva un caldo assurdo: pareva di essere in estate. La base militare era in cima ad un ripido promontorio, non c’ero mai stato prima. Ad attendermi c’erano generali e colonnelli, molti di loro sono ancora oggi al potere. Non vi dirò chi incontrai perché non è importante. Sappiate solo che lì conobbi per la prima volta tuo padre, Kevin Itan Hopper, e William Blake -
    A sentir pronunciare quel nome l’uomo sussultò e parve destarsi dal torpore che lo allontanava continuamente. Fissò intensamente Manny come se tra i due stesse avvenendo un dialogo non verbale, poi poggiò gli occhi stanchi sul figlio e la sua amica. Sembrava non dormisse da giorni: Franz non vi aveva prestato attenzione prima ma portava pesanti borse sotto gli occhi. Le rughe, ancora più marcate dalla penombra, lo facevano apparire incredibilmente vecchio. Non si era mai interrogato su quanti anni avesse di preciso, sicuramente aveva superato la cinquantina. Lo vide accendersi l’ennesima sigaretta, una fiamma tremolò nella notte prima che trovasse la forza di parlare. - Di William Blake vi parlerò più avanti - biascicò stringendo il mozzicone tra le labbra - Ora è il caso che ti dica finalmente qualcosa su di me -

    Stava parlando a lui direttamente, era la prima volta che lo faceva. Durante la sua infanzia il giardiniere aveva chiesto spesso informazioni su suo padre ma erano ben poche le risposte che aveva trovato. Padre Lone, l’unico che sembrasse saperne qualcosa, si era sempre chiuso nel più totale silenzio. Con il passare del tempo il giovane aveva imparato a non chiedere. A vivere la propria vita senza porsi troppi interrogativi sul passato. Qualcosa dentro di lui gli suggeriva che erano capitati molti eventi spiacevoli, sentiva il tanfo di morte echeggiare dal passato di Kevin Itan Hopper ma a lui tutto ciò non interessava più. Almeno così credeva. Invece si scoprì entusiasta, entusiasta e curioso di poter finalmente ottenere delle risposte. Sentiva il proprio cuore pulsare nel petto vigoroso, avrebbe finalmente scoperto la verità. - Lo voglio davvero? - si scoprì a chiedersi - Voglio davvero sapere chi è mio padre? Saprò convivere con la realtà o ne verrò trascinato via? Gli vorrò ancora bene? C’è un motivo se finora mi ha sempre tenuto nascosto tante cose -
    Pensieri su pensieri affollavano la sua mente. Forse avrebbe dovuto fermarlo? Scegliere di non sapere? Era in ogni caso troppo tardi: stava già narrando e sapeva che niente di ciò che avrebbe detto gli avrebbe fatto cambiare idea. - Sono nato a Dilagon City - stava dicendo - Da Martha e Stuart Hopper. Tu non hai mai conosciuto i tuoi nonni da parte mia, Franz, perché sono morti anni fa ma procediamo con calma. Vivevamo a New Side, in una bella casa in centro. Mio padre, tuo nonno, era un luogotenente colonnello dell’esercito: un personaggio abbastanza importante ed anche molto riservato, tanto che di rado abbandonava i suoi uffici e credo che non avesse mai impugnato una pistola. Tua nonna Martha era avvocato per la Marina, uno dei primi avvocati donna di questa città. Naturalmente non era originaria di Dilagon City, ci si era trovata per puro caso, e dopo aver risolto qualche caso aveva deciso di prolungare il suo soggiorno. Come ben sai la Marina è molto forte qui, quindi non ebbe problemi ad ottenere il trasferimento: c’era sempre qualcosa da fare. Da che ho memoria ha sempre lavorato. Sempre, anche quando era incinta di Antha. Io sono il secondo di tre figli. Mio fratello maggiore, Frank Harvey Hopper, non lo hai mai conosciuto: è morto. Ho una sorella più piccola, Anne Antha, ma di lei ti parlerò dopo. Ora mi preme che su sappia alcune cose su Frank. Frank aveva otto anni più di me, era il mio idolo, un ragazzo perspicace e buono. Nostra madre Martha, tua nonna, lo mandò a studiare al convento di Nostra Signora del Mare, che all’epoca era una scuola privata oltre che un orfanotrofio. Forse te ne ricordi anche tu: la scuola era composta da tutta l’ala orientale, dove ora ci sono i nuovi dormitori, e chiuse che tu eri piccolissimo, avrai avuto cinque o sei anni. In ogni caso Frank studiò lì ed anch’io lo feci, perfino nostra sorella che arrivò più tardi. C’è un motivo per cui tua nonna prese una tale scelta: i frati e le suore. Voleva che fossimo seguiti da uomini di fede, lei era religiosissima e ritenne che questa fosse la miglior scelta per noi. Se devo essere sincero non so se ha fatto bene, di certo mi è stato molto utile: è in quegli anni che ho conosciuto Bartolomeo Lone, padre Lone come lo chiami tu. Lui ed io siamo andati a scuola insieme, stessa classe, anche stesso college. Siamo rimasti uniti fino all’università, quando lui è andato a studiare teologia, ma questa è un’altra storia. Frank, che come ti ho detto era più grande di me di otto anni, andò a Nostra Signora del Mare prima di tutti e si fece notare per essere un giovane brillante e sagace. Aveva ottimi voti, fin da bambino, e gli piacque sempre studiare. All’epoca c’era un compagno di classe con il quale era particolarmente legato, un ragazzino di umili origini del South Place. Anche a distanza di anni feci fatica a ricollegare le cose ma da quando l’ho fatto ho colto l’estrema ironia che sembra prendersi gioco delle nostre vite. Un’ironia davvero spietata -
    Franz sentì i pesanti occhi del padre su di lui, il suo sguardo gelido come il ghiaccio non veniva scaldato dalle pupille nocciola. - Il nome del suo prezioso amichetto - confessò - Era William Blake -

    Gli occhi dell'uomo si riempirono di lacrime e la frase successiva gli si strozzò rumorosamente in gola. Franz distolse lo sguardo ma era dura non prestare attenzione a suo padre, soprattutto se un uomo forte e capace com'era sempre stato si mostrava improvvisamente debole ed umano. Abbassò il capo e non fu il solo a farlo, al suo fianco Amy avvampava d'imbarazzo. Persino Manny sembrava sentirsi a disagio, lo scudo di potere ed autorità che Kevin aveva sempre posto attorno a sé si stava sgretolando. Dovevano essere ricordi davvero dolorosi per tutti, soprattutto per lui. Il birraio ascoltava in silenzio, anche lui a testa china, il viso contrito in un pianto invisibile. - Di Blake - ansimò l'uomo - Vi parlerò dopo... Ora voglio parlarvi di Frank... Di mio fratello, tuo zio... Il mio fratellone -
    Un altra cascata di lacrime mise in risalto gli zigomi sporgenti e le profonde rughe. Il dolore era ben percepibile dai sussulti irregolari delle spalle. Cercava di darsi un contegno ma senza successo. Fu di nuovo il suo commilitone a rompere il silenzio con voce rotta e dolce: - Lascia stare, doc... Non devi stare male... Lascia stare -
    Quelle parole sembrarono dar vigore al narratore che, sollevato improvvisamente il capo, fissò il figlio negli occhi. Franz si sentì attraversare da una scarica gelata, come se su di lui gravasse un peso inimmaginabile. L'angoscia gli serrò il petto e dimenticò di respirare per diversi istanti, solo quando sentì la voce di suo padre uscire forte dalla gola secca ebbe la forte per tirare una nuova boccata d'aria nella gelida notte. - Frank finì la scuola in tempo e con ottimi voti. Lui e William Blake vinsero due borse di studio, all’epoca Blake faceva molto sport, decisero di andare nello stesso college, presero addirittura stanza insieme. Erano inseparabili, amici per la pelle come si diceva allora. Finito il college Blake si arruolò in Marina senza difficoltà, mio fratello si iscrisse all'Università. Voleva studiare giurisprudenza e diventare un avvocato come sua madre, gli sarebbe piaciuto lavorare nella Marina oppure come notaio, doveva ancora decidere. Aveva solo diciannove anni! Come te, era come sei tu ora. Vi somigliate così tanto! -

    Fu interrotto da un’altra scarica di singhiozzi, vederlo improvvisamente così umano e sofferente era uno strazio per l’anima del giovane giardiniere. - Avresti dovuto vederlo - aggiunse suo padre tra le lacrime - Ho una sua foto, nella cabina, di quando compì diciannove anni: siete così simili! -
    Non riuscì a continuare oltre: le lacrime cavalcavano le rughe profonde e scendevano lungo la peluria ispida del mento. Franz si sentiva gelare: l’improvvisa emotività di suo padre lo confondeva. Era davvero così? L’uomo sicuro di sé e solido che tanto aveva ammirato nascondeva tanti tormenti nel proprio cuore? - Che esistenza triste deve aver passato - si ritrovò a pensare. Lentamente Kevin riuscì a ridurre i suoni che gli uscivano dalla gola in un rantolo sommesso che pochi attimi dopo cessò. - Io all’epoca ero appena un adolescente - raccontò - Ma mi ricordo bene di Frank che andava all’università: era così felice. Mantenne sempre i contatti con William Blake, naturalmente, ma si vedevano di rado a causa della leva. Passarono un paio d’anni di tranquillità e fu il mio turno di andare al college, allora ebbe inizio la sventura di Frank -
    Non sarebbe riuscito ad andare oltre, il giovane lo sapeva bene, tanto valeva interromperlo e porre fine a tutto quel soffrire. Non gli avrebbe mai chiesto di rivangare il passato sapendo quanto ne soffrisse, forse era meglio non sapere affatto. Approfittò del silenzio del vecchio prendere la parola. - Forse - biascicò - Forse... E’ meglio finirla qui per ora -
    Quando mai la sua voce era stata così incerta, così tremolante? Era quello il suo vero timbro vocale? Certo che no. Non si era mai udito parlare così, come un bambino spaventato. Cosa gli stava succedendo? Probabilmente era rimasto più sconvolto di quanto desse a vedere a sé stesso.
    - No - ottenne in risposta da Kevin, sembrava essere tornato l’uomo pacato e composto che conosceva - E’ giusto che tu sappia, tu devi sapere -
    - E se non volessi sapere? -

    Le parole gli sfuggirono dalle labbra senza controllo, si rese conto di quanto aveva detto solo in un secondo momento, quando il suo sguardo incrociò quello esterrefatto di Amy. Lei e Manny stavano lentamente divenendo parte del paesaggio, ascoltatori per caso di un dramma famigliare.
    - Tu vuoi saperlo - rispose lentamente il vecchio - Solo che non ancora ti è chiaro il motivo. Come stavo dicendo fu l’anno in cui anch’io andai il college, tua zia Anne Antha frequentava ancora le scuole medie, che William Blake si fece rivedere in casa Hopper: era tornato con un congedo temporaneo di due settimane, ci fece visita all’improvviso volendo a tutti i costi parlare con Frank. Erano tempi bui per Dilagon City. Non mi riferisco solo al contrabbando ma anche alla criminalità organizzata, alle bande e ai piccoli borseggiatori. Non era una città sicura, non lo è neppure oggi, ma all’epoca le cose erano molto diverse. Peggiori. La Marina e l’Esercito non sapevano come eliminare tanto marciume, avevano bisogno di molti agenti. Era stato indetto un bando, una specie di prova d’ammissione, per una nuova forza speciale che si stava formando. William Blake avrebbe partecipato al test e voleva che Frank facesse lo stesso. Noi provammo a dissuaderlo: gli mancava poco alla laurea, avrebbe potuto servire la sua città in molti modi. Ma Blake insistette per giorni, gli riempì la testa di assurdità, gli disse che così sarebbero stati di nuovo insieme. Gli offrì l’avventura, Franz, lo illuse parlandogli di grandi avventure e facendo leva sul suo senso della giustizia. Sai che pochi uomini possono resistere al brivido dell’avventura, Frank non resistette. Partì per andare a fare quel maledetto esame e fu l’ultima volta che lo vedemmo. Naturalmente riuscì ad entrare, non ne avevamo dubbi, in fin dei conti era un ragazzo sveglio ed intelligente. Tornò dopo sei mesi, in un feretro bianco. Durante un’esercitazione in mare qualcosa era andato storto, non ci dissero nient’altro poiché le informazioni erano riservate, e lui perse la vita. William Blake sparì dalla nostra vita, non ne sentii parlare per anni, non venne neppure al funerale. I tuoi nonni ne furono distrutti, non si ripresero mai dallo shock. Mio padre, per consolarsi, si attaccò alla bottiglia e ciò lo portò alla morte una quindicina di anni dopo. La mamma visse più a lungo covando quel dolore dentro di sé -

    Era finita così? Non c’erano state indagini? La vita dello zio Frank era terminata in alto mare durante un’esercitazione? Davvero ci credevano tutti? A Franz parve così strano. - Se ti sto raccontando tutto questo - aggiunse suo padre - E’ affinché tu sappia chi è ma soprattutto chi era William Blake -
    Al ragazzo sarebbe servito del tempo per rimuginare su quanto gli aveva raccontato. Aveva bisogno di calma e tranquillità, della sua stanza e del suo letto. Forse, tra le nebbie degli incubi che ultimamente affollavano le sue notti, avrebbe trovato consolazione. Tuttavia non ebbe tempo di rimuginare: come sempre la voce di suo padre lo scosse dal torpore dei pensieri. - William, tu lo sapevi? -
    - No - rispose lentamente il birraio - Non ne avevo idea -
    Da qualche parte in lontananza giunsero secchi i rintocchi di una campana. Il ragazzo, inizialmente raggelato dal cupo suono, riconobbe il campanile di Nostra Signora del Mare. Dopo due colpi il silenzio tornò a regnare. Fu il padre del giardiniere il primo a rompere il silenzio, visibilmente preoccupato. - Accidenti - imprecò - E’ più tardi di quanto pensassi -
    - Come tardi? - chiese Amy, rimasta in silenzio da forse più di mezz’ora, anticipando le parole del giovane. - Sono appena le due del mattino. Io voglio conoscere tutta la storia! -
    - Un’altra volta - le rispose sbrigativo Kevin alzandosi di scatto. Franz, dal canto suo, rimase sorpreso da tanta (improvvisa) fretta di muoversi. - Devo tornare alla nave - spiegò l’uomo quasi gli leggesse nel pensiero - Salpiamo tra pochissimo -. Controllò in fretta il costoso orologio che teneva al polso con aria preoccupata, quindi posò lo sguardo su Manny. - Devo salutarti - gli disse - Spero di incontrarti di nuovo -. Il birraio avanzò lentamente e lo abbracciò come un fratello. Quando parlò, ancora stringendo al corpo l’amico, la voce era rotta dall’emozione. - Stammi bene doc... Se ti serve qualcosa sai dove trovarmi -
    Si separarono dopo un lungo istante, quanto avvenuto non sembrava aver infastidito Kevin. - Riportala a casa - ordinò rivolgendo un cenno del capo ad Amy - E’ stato un piacere conoscerti -
    - E’ stato un onore, signor Hopper - rispose lei, educata e cortese come nessun’altra donna sarebbe mai potuta essere.

    Franz sentì sulla propria spalla la stretta salda della mano paterna, si lasciò guidare lungo la via deserta in direzione del convento. Il loro tarchiato amico e la ragazza svoltarono rapidamente dietro l’angolo e sparirono nella notte. Da solo con il suo vecchio, il giovane si sentì al sicuro. Non vi era nulla, in quel periodo della sua vita, che lo minacciasse particolarmente eppure avere il padre al suo fianco lo rendeva sereno, sereno e molto rilassato. Percorsero in silenzio qualche centinaio di metri, i loro corpi vicini, un ebete sorriso stampato sul volto del ragazzo. - Perché volevi raccontarmi quella storia? - chiese quando non riuscì più a trattenere dentro di sé le parole. - Affinché tu sapessi - ottenne in risposta. - Ci sono molte cose che non so di te - confessò a malincuore - Perché proprio adesso? -
    - Perché sei pronto -
    Suo padre si era fermato. Avevano di certo fretta ma se aveva scelto di fermarsi e stringerlo così vicino a sé di certo stava per accadere qualcosa di importante. - Tu stai crescendo - gli disse - Cresci molto in fretta e non mi riferisco solo al tuo corpo. Tu stai maturando, Franz, stai diventando un adulto. Non posso più proteggerti né mentire per te: sta arrivando il momento in cui dovrai essere tu a decidere. Ci sono molte cose che non sai, moltissime, ed è vitale che tu le impari. Ne va della tua vita, della tua sopravvivenza. Un po’ per volta devi imparare. Devi conoscere e maturare. Io ti sono stato accanto in questi anni per quanto mi è stato permesso e rimpiango di non aver potuto fare altrimenti ma vedo che te la sei cavata piuttosto bene. Sei in gamba, figlio mio, ed ogni giorno che passa assomigli sempre più a me e a tua madre -
    Ecco toccato un tasto dolente. Se il giardiniere era rimasto in silenzio ad assorbire quanto più poteva da quel monologo non riuscì a trattenersi dal parlare quando venne nominata la sua defunta genitrice. - Che c’entra la mamma? - domandò d’impulso - Lei è morta tanto tempo fa -

    Suo padre gli lanciò un’occhiata colma di dolore ed apprensione. Era uno sguardo intenso, prossimo alle lacrime, quasi surreale se incastonato nel suo volto truce. Eppure quel frangente aprì in Franz un nuovo percorso, una sensazione mai provata prima che gli attanagliò viscere e gola in una morsa gelida: e se suo padre avesse mentito? - Non ti ho mentito - rispose celermente - Tua madre è morta dandoti alla luce -
    Lo aveva fatto di nuovo: lo conosceva così bene da leggergli nel pensiero. Cominciava ad essere un’abitudine piuttosto fastidiosa, soprattutto se utilizzata impropriamente. Si trovavano lì, uno di fronte l’altro, al centro del marciapiede vuoto e segnato di tanto in tanto da qualche foglio di giornale o bottiglia di birra. Quando mai Dilagon City era stata così silenziosa? Quando mai il vento tra gli edifici aveva prodotto quel sibilo inquietante? Cosa stava succedendo a quella notte e perché suo padre era tornato? - Prima non te l’ho chiesto - si ricordò il giovane - Ma come mai sei tornato? -
    - Per vedere te -
    Quando Franz aveva ripreso i sensi al pub, trovandosi suo padre davanti, era rimasto davvero sorpreso. Manny gli aveva poi raccontato tutto: gli aveva detto di aver perso i sensi quando quel marinaio lo aveva caricato, di essere rimasto svenuto per quasi un’ora. Gli aveva anche detto, in un sussurro a denti stretti per paura di essere ascoltato, che l’uomo era rimasto lì con lui quasi tutto il tempo, che lo aveva visitato e gli era sembrato piuttosto preoccupato. Il giovane ne era stato felice, ovviamente, sapeva che il suo vecchio aveva ricevuto una preparazione di ottimo grado in campo medico quand’era nella Marina come attivo. Gli sembrava strano che un semplice addetto alle telecomunicazioni restasse in mare così tanti mesi all’anno ma in verità non voleva immischiarsi in quegli affari: la vita da soldato non lo attirava affatto. - Ti ringrazio - trovò finalmente il coraggio di dire vincendo l’imbarazzo - Grazie di tutto -

    Ottenne in risposta lo stesso sguardo profondo e sofferente che gli aveva rivolto prima, ben mascherato da un sorriso sforzato ma ugualmente struggente. - E’ presto per ringraziarmi - rispose l’uomo. Quasi all’unisono i due ripresero a camminare alla volta del grosso campanile in fondo alla strada, Kevin controllava di nuovo l’orologio. - Ti accompagno fino al convento e poi taglio dritto per il porto - disse - Hai le chiavi per rientrare? -
    Cerco che aveva le chiavi: era pur sempre il giardiniere di Nostra Signora del Mare. Mentre attraversavano celermente la strada vennero investiti dalla luce fredda di un lampione che si accese all’improvviso. L’uomo sobbalzò dalla sorpresa affondando la mano nella giacca pesante. Franz, pur senza vederlo, intuì che avesse afferrato la pistola e mentre cercava di camminare nella maniera più naturale la sua testa lavorava a pieno regime. Cosa c’era nella notte che suo padre temeva? Doveva tornare davvero alla nave oppure aveva altre commissioni da sbrigare? Perché sembrava così teso? Fissandolo di sfuggita notò che la mano, un attimo prima sotto l’ascella, pendeva inerte lungo il fianco, Kevin sorrideva imbarazzato. - Scusa - biascicò - Sono molto teso: non ho dormito molto ultimamente -
    Era una menzogna, lo sapeva bene, forse non era il ragazzo più sveglio al mondo ma sapeva riconoscere una bugia quando ne udiva una, soprattutto se a dirla era stato suo padre. Urtando sul primo gradino del convento per poco non rischiò di inciampare e ciò fu sufficiente ad eliminare ogni altro pensiero. Riprendendo faticosamente l’equilibrio fissò il suo vecchio. - Sono arrivato - disse a malincuore. Perché doveva sempre sottolineare l’ovvietà? Prima o poi sarebbe riuscito a perdere quel vizio maledetto. Kevin si guardava intorno cercando di non essere notato dal figlio, impresa con scarsi risultati. - Io ora devo andare - disse - La nave sta per partire -. Infilò la mano in una tasca della pesante giacca e vi estrasse quello che sembrava un braccialetto di cuoio. - Sai cos’è questo? - chiese al figlio porgendoglielo. Franz avvertì un senso di familiarità nei laccetti marroni intrecciati tra loro. - Sembra un bracciale - rispose incerto - Ma... Non so, mi sembra di averlo già visto... E’ tuo? -. Eccolo di nuovo a sottolineare l’ovvietà: certo che era di suo padre. Si sarebbe morso la lingua da solo se ne avesse avuto il tempo. - No - rispose l’uomo con sicurezza - E’ tuo -

    Glielo lasciò cadere tra le mani: il cuoio era stranamente caldo e morbido al tatto nonostante i visibili segni d’usura. - E’ un regalo? - domandò il giovane tornando a fissare suo padre. - Tienilo sempre con te - ottenne in risposta - Diciamo che porta fortuna -
    C’era qualcosa in quell’oggetto. Qualcosa che non avrebbe saputo spiegare, qualcosa di affascinante e pericoloso al tempo stesso. Era come tenere in mano una bomba: poteva scoppiare da un momento all’altro ma non riusciva a distogliervi lo sguardo. Si sentiva stranamente leggero, la mente annebbiata eppure sgombra da ogni turbamento. Forse il vecchio aveva ragione, forse portava davvero fortuna. - Hai mai sentito parlare di un negozio che si chiama Talamasca? - domandò lentamente l’uomo. La sua voce appariva fioca e distante alle orecchie del giovane, era talmente preso nella contemplazione del braccialetto che tutto attorno a sé stava lentamente svanendo. Fece molta fatica a capire quanto chiesto. Talamasca? Quel nome non gli diceva niente. - No - rispose dopo qualche istante - Mai sentito -
    Kevin annuì rapidamente e gli poggiò nuovamente la mano sulla spalla. Il contatto fisico fece dimenticare al giardiniere quanto stava facendo riportando la sua attenzione al padre ed alla conversazione in corso. - Allora ascoltami bene - stava dicendo - Il Talamasca è un negozio molto particolare. Si trova negli Streets o almeno si trovava lì questa mattina. Vacci appena possibile, anche domani se ci riesci. Non aspettare troppo tempo o non lo troverai. Il proprietario si chiama Samuel, è un signore bassetto che parla per enigmi. Digli chi sei, lui capirà. Se non dovesse capire fagli vedere questo braccialetto -
    Perché tante informazioni tutti assieme? Cosa doveva fare in quel negozio e perché mai suo padre gli aveva parlato del proprietario? Qualsiasi altra domanda si strozzò nella gola di Franz quando il padre, con una forza inaspettata, lo tirò a sé in un dolce abbraccio. - Ti voglio bene figlio mio - gli sussurrò all’orecchio - Ci vediamo il prima possibile -
    Il giardiniere si voltò verso l’antico portone in legno. Quando inserì la chiave nella toppa suo padre era già sparito nell’oscurità del South Side. Solo dopo che ebbe varcato la soglia del convento si rese conto di non sentire più la gola bloccata. - Anch’io ti voglio bene, papà -


    Codici di » Franz

  9. .

    Rubrica "Non mi Siedo": passeggiando per i viali


    di Franz Hopper
    per il Dilagon Post



    Buongiorno a quanti mi stanno seguendo sulle colonne del Dilagon Post e ben ritrovati a questa edizione, del tutto fuori dagli schemi, di “Non mi Siedo”. Eccezionalmente per questa settimana l’enciclopedia del fast food potrà contare su due articoli grazie ad una gentile concessione da parte degli editori. Senza ulteriori indugi torno tra le strade di Dilagon City per la testata odierna.
    Il mio pellegrinaggio mi ha portato a Colbell, nel cuore pulsante di questa metropoli, in un delizioso parco poco dopo la diramazione tra New Side e North Side. Sono sulle tracce di una paninoteca molto famosa in zona che si dice serva dei piatti veramente unici. Percorrendo l’elegante viale alberato avverto subito nell’aria un aroma intenso di carne che riesco a seguire fino all’ambita meta. Eccomi arrivato “Ai viali”, la paninoteca da asporto di cui tanto avevo sentito parlare. Dall’esterno appare simile ad un piccolo edificio: pareti in mattoni rossastri, un’unica parete a vetro e porta trasparente. Attraverso riesco a scorgere l’alto bancone con fornelli a vista ed oltre una porticina che credo dia sulla dispensa. Senza indugiare oltre entro. Le varie piastre a vista sono piene di ogni sorta di cibo, stessa cosa posso dire del bancone in vetro dove spuntano salsicce, bistecche ed hamburger crudi. Sembra di trovarsi in una macelleria più che in locale, l’odore della carne cruda ristagna sulle teste dei clienti. Non ci sono sedie né tavoli, lo spazio è appena sufficiente affinché si formi una breve coda. Una volta ordinato e ritirato il prodotto bisogna andare a mangiarlo fuori. Da un rapido sguardo colgo una spessa tenda in stoffa che viene lasciata scivolare su travi di ferro come fosse una paratia in caso di pioggia. Trovo penzolanti dal soffitto vari menù scritti con pennarello nero su cartoncino colorato. Mi rendo conto che i listini sono quattro: bevande, friggitoria, piatti della casa, panini ed hot dog.
    Le bevande sono le prime ad attirare la mia attenzione: il locale offre un’ampia varietà di bibite gassate, dalle più famose a quelle meno note. I prezzi partono da due dollari per i cosiddetti “bicchieri” (equivalenti a 0.2 litri di prodotto) ed aumentano di un dollaro per quantità superiori (mezzo litro, 8 decilitri) fino ai quatto dollari e cinquanta (prezzo omaggio) per un litro intero. Come spesso accade sono disponibili sia versioni in bottiglie di plastica che alla spina secondo i gusti. Le birre, tutte rigorosamente in contenitori di vetro, hanno prezzi che variano dai due dollari e mezzo ai quattro in base alla qualità del prodotto ed alla marca. Abbondano le birre chiare, soprattutto le bionde, maggiormente note ed apprezzate. Un paio di rosse per intenditori ma niente di più. A stupire maggiormente sono i vini venduti in bottiglie da 75 centilitri: tutti di basso rango, neppure uno rinomato, con prezzi base di sette dollari: un vero furto.
    Per “friggitoria” immagino si riferiscano ai cibi fritti offerti e scorrendo velocemente il listino ho conferma della mia supposizione. Anche in questo caso si rimane sul classico: patatine fritte, olive ascolane, anelli di cipolla, mozzarelline impanate, fiori di zucca fritti. Tutti prodotti rigorosamente surgelati, estratti e poi cotti. Come sempre sono disponibili tre formati (piccolo, medio e grande) con prezzi che partono da un dollaro e cinquanta per salire di mezzo dollaro ogni volta. Una piccola nota per i consumatori: la porzione “piccola” è veramente piccola! A meno che non la si prenda per dei bambini è necessario acquistarne una media per sentirsi in parte sazi. Il gusto salato è ben coperto dalle salse disponibili (ketchup e maionese) versate a fiume su richiesta.
    I piatti della casa sembrano una mucchiata di secondi gettati alla rinfusa su carta: mozzarelle, polpette, insalate, bistecche e tanto altro da farmi accapponare la pelle. Quanto ordinato viene servito in piatti di plastica per il consumo immediato, impossibile pensare all’asporto. Le mozzarelle sembrano fresche e genuine, non mancano i condimenti forti come sale, olio e pepe. Al contrario le mozzarelle, cotte in un basso tegame sulla piastra rovente, sono dure, secche e stoppose: il sistema di cottura andrebbe cambiato con uno più tradizionale. Le insalate abbondano in piccoli cestini di plastica: da quelle classiche con lattuga, rucola, sale ed olio si passa alle più elaborate che contengono maionese, limone, aceto (sia bianco che nero), carote, cipolle (lesse o soffritte) e finocchi (crudi o cotti). Ogni abbinamento prende un nome particolare ed è di facile consultazione, il prezzo si aggira sempre sui cinque dollari a porzione.
    Panini ed hot dog sono la parte più interessante (e lunga) del menù. Anticipo subito che ogni panino disponibile ha una controparte hot dog praticamente uguale, pertanto elencandone uno ne starò trattando invece i due aspetti. I prezzi, per cominciare, partono dai due dollari e cinquanta per le versioni base e salgono fino ai dieci per quelli maggiormente elaborati. Dal classico panino con carne ed una fetta di formaggio andiamo al doppio cheeseburger (con due tipi di formaggi diversi) al triplo cheeseburger (gorgonzola, gruviera ed emmentaler) dal sapore deciso. Lattuga, cicoria e mozzarella a fette sono disponibili nel “salade burger”: quattro dollari di gusto verde. In tema verde ma soprattutto vegetariano troviamo gli hamburger di soia con i rispettivi hot dog: il prezzo di cinque dollari sembra eccessivo se paragonato alla qualità del prodotto. Sempre a cinque dollari iniziano i panini “duecentocinquanta” ovvero con fette di carne macinata dal peso (crudo) di duecentocinquanta grammi. Ai più vecchi lettori tutto ciò ricorderà il “Deposito di Tom” di cui parlai nelle prime edizioni della rubrica “Mi Siedo”. Nonostante il nome accattivante si tratta di hambuger ed hot dog piuttosto comuni dagli abbinamenti ormai soliti ai quali siamo abituati. Allo stesso prezzo fanno riferimento il doppio hamburger (con due strati di carne, lattuga, pomodoro e formaggio fuso) ed il “sea burger”: filetto di merluzzo impanato e fritto, salsa di gamberetti, insalata, qualche frutto di mare. Saliamo di un dollaro per carni più raffinate: il cervo ed il cinghiale la fanno da padrona. A quota sette dollari iniziano i piatti veramente interessanti: carne avvolta nel bacon o servita con cipolle fritte, uova all’occhio di bue tra lattuga e pomodoro. Ogni aggiunta può essere pagata a parte con un aumento di cinquanta centesimi e ciò mette d’accordo anche i clienti più esigenti. “Oil burger” presenta al suo interno sottaceti d’ogni tipo: melanzane e cetriolini, olive, cipolle e quanto di più oleoso esista al mondo per soli otto dollari. Dagli otto dollari e cinquanta in poi si discute solo con panini “duecentocinquanta” leggermente più raffinati: insalate varie, strisce di cipolla soffritte ma anche patatine. Per dieci dollari e cinquanta è possibile ottenere il panino “cinquecento” che, al termine di questo articolo, dovrebbe essere di facile intuizione. Tale piatto viene servito privo di salse e condimenti da aggiungere, previo pagamento dell’imposta aggiuntiva, in base ai gusti del cliente. Quest’ultima sfida si rivela piuttosto impegnativa e da uno dei giovani commessi vengo a sapere che sono molti i ragazzi che non riescono a terminare il pasto. Alcuni, mi rileva, la prendono addirittura come una sfida personale. Ridendo sotto i baffi pago il conto ed esco dopo essermi fatto un’idea abbastanza chiara del locale.
    “Ai viali” è la paninoteca per ceti medio-alti. I prezzi sono più quelli del North Side che di Colbell e credo che i gestori lo sappiano bene. I vini sono riservati a giovani che intendono ostentare le proprie ricchezze, per questo i prezzi di base sono vergognosamente elevati. Tralasciando la discutibile scelta posso dire che i panini sono gustosi e sostanziosi, nulla da invidiare ad altre paninoteche maggiormente rinomate. Tuttavia esistono (e mi sono già trovato a recensirli) locali con prodotti quasi uguali a prezzi decisamente inferiori. Senza voler attribuire pregi o difetti eccessivi il vostro Franz vi saluta e vi da appuntamento al prossimo numero di “Non mi Siedo”, la grande enciclopedia del fast food sempre e solo a cura del Dilagon Post.
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    Fratelli, non con le mani ma coi coltelli!
    Pace, amore e gioia infinita!
    Perché non vivete tutti in tranquillità anziché volervi sempre massacrare? :pope:
    Comunque benvenuta su Pandemonio! Sarà bello leggere finalmente di una clericale
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    Trinacria in Sicilia per caso? :boo: Wow, sono confuso.
    In ogni caso benvenuta su Pandemonio. Anch'io seguo con vivo interesse (ossessione) la serie Castle insieme a millemila altre. Mi molto piacere leggere di questo nuovo terzetto che si sta formando anche se non ho mai avuto l'occasione di ruolare con Lhou.
    Spero ti troverai bene qui!
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    Rubrica "Non mi Siedo": sotto la pioggia


    di Franz Hopper
    per il Dilagon Post



    Un felice augurio di buon inizio settimana a tutti voi lettori di “Non mi Siedo”, l’ormai celebre (forse) enciclopedia di cucina veloce che come sempre esce tra le colonne del Dilagon Post. Dopo l’articolo della scorsa settimana ho ricevuto numerose lettere da diverse persone con consigli, suggerimenti e qualche invito. Sembra che, così come già accaduto per “Mi Siedo”, la rubrica di critica culinaria, alcuni venditori di cibo da asporto abbiano intenzione di rilasciarmi un’intervista in esclusiva. Mentre valuto queste nuove ed imprevedibili offerte ho deciso di spendere qualche riga a parlarvi del meteo: è solo una mia impressione o negli ultimi giorni il clima è decisamente mutato? Non credo di essere l’unico ad aver notato che in poco più di una settimana siamo passati dall’inverno mite e sereno a delle abbondanti precipitazioni. Nell’ultimo periodo soprattutto sembra che il cielo non voglia dare pace a Dilagon City rovesciandoci addosso diversi centimetri d’acqua. Cosa c’entra tutto questo con la rubrica? C’entra eccome visto che proprio la pioggia ha dato il via ad una mia piccola avventura culinaria.
    Ero in auto con un amico, poco dopo cena, ed insieme scendevamo da Laman Street verso Dilagon Square costeggiando gli Undergrounds. Alle nostre spalle avevamo lasciato l’incrocio con Jerton da meno di un chilometro quando ormai archiviati gli argomenti principali trovammo doveroso discutere del cattivo tempo. Un pensiero mi affollava la testa: come poteva una persona mangiare sotto quella pioggia scrosciante senza bagnarsi? Esponendo quel dubbio ad alta voce scoprii che il guidatore conosceva la risposta. Senza ulteriori indugi mi condusse al numero civico 1311 sotto un’anonima tettoia rossa. Potevo forse immaginare che si trattasse del “Balla sotto la pioggia”? Proprio così cari lettori: in Laman Street esiste un locale specializzato nel servire cibi e bevande unicamente takeaway. La struttura, situata praticamente al margine della carreggiata, somiglia ad un comune parcheggio a pagamento. Una volta sotto le tettoie in lamiera basta seguire il senso unico per giungere alla piccola casetta bianca di cemento posta in fondo e fare la propria ordinazione. Il cameriere di fiducia ed unico contatto umano per tutto il tempo della ristorazione prende le ordinazioni, si cura che quanto scelto sia pronto e ritira il pagamento. Il menù consiste in un grosso cartellone di plastica poco distante: ben illuminato da diversi faretti spiega nel dettaglio il contenuto di ogni prodotto e l’origine artigianale o industriale (in caso di cibi precotti, surgelati o confezionati). Il novanta per cento del servizio è composto da panini: dai tramezzini agli hot dog si passa tranquillamente per gli hamburger e per varie fasce di prezzo. Poiché la ressa di macchine strombettanti in attesa alle spalle potrebbe mettere una certa fretta trovo doveroso recensire velocemente i prodotti più in vista per dare al lettore un’idea di quelle che potrebbero essere o meno le pietanze di suo gradimento. Una premessa è strettamente necessaria: dimenticate il pane fatto artigianalmente. Tutte le basi per panini ed hot dog sono rigorosamente di stampo industriale, acquistate in stocchi per la grande ristorazione. Se siete alla ricerca del cibo raffinato a km0 o dei sapori autentici uscite alla massima velocità consentita: “Balla sotto la pioggia” non è per voi. I prezzi, fortunatamente, si mantengono bassi come le aspettative: siamo attorno si due dollari e cinquanta, quattro dollari e mezzo per i prodotti più “grossi”. Per “grossi” intendo veramente “grossi”: sul listino sono presenti una serie di articoli targati XXL non tanto per fare spettacolo quanto per rendere l’idea delle dimensioni. Questo marchio particolare, come rapidamente spiegato dal commesso, indica prodotti molto grandi, veramente grossi. L’hot dog XXL, per esempio, è risultato essere due volte un normale panino. La carne, anch’essa proveniente dalla grande distribuzione, è di stampo industriale: dura e stopposa. Uso eccessivo delle salse (necessarie a coprire i sapori appena passabili) e dei contorni (patatine, lattuga, pomodori) che avvolgono gli hamburger. Non si tratta del massimo per quanto riguarda freschezza o genuinità ma “Balla sotto la pioggia” potrebbe essere un buon ricovero d’emergenza per le fame improvvisa. Le patatine fritte, se posso suggerirlo, sono veramente gustose seppur abbondano di sale; moderazione tuttavia nelle porzioni: una piccola può sfamare tranquillamente due persone, la media è più che sufficiente ad accontentare quanti sono in macchina, la grande sembra indicata per una squadra di football. Anche la pancetta fritta sporge dai tramezzini rosolata e croccante, il sapore leggermente gommoso si maschera velocemente. Prestate attenzione e state alla larga dai piatti “della casa”, ovvero a tutto ciò che non è contenuto tra due fette di pane: potrebbe essere la vostra ultima esperienza. Tralasciando piccole polpette di dubbia carne affogate in una sorta di salsa ketchup ci sono state rifilate cotolette simili a suole delle scarpe impanate per non parlare delle verdure da contorno ancora mezze congelate e grondanti acqua. Le insalate, infine, sono da evitare: condite con sale, zucchero (perché mai?) e qualcosa che assomiglia vagamente ad aceto bianco hanno il tipico sapore stantio dei cibi a lunga conservazione, sembra di star mangiando del cartone. Concludendo, cari amici, posso dirvi che questo locale non è proprio il non plus ultra della qualità a basso costo ma i prezzi sono di certo rapportati alla qualità del prodotto. Il “Balla sotto la pioggia” meriterebbe una visita di tanto in tanto ma non più di qualche hamburger da sgranocchiare frettolosamente sulla via di casa o mentre si va al cinema. La possibilità di pagare con carta di credito è molto comoda ma non so quanto possa essere vantaggioso vedersi scalare uno o due dollari per la transazione quando la cena stessa costa due dollari! Le bevande, tanto per aggiungere un’altra nota positiva, sono costituite dai principali drink gassati reperibili in ogni bar ma hanno il vantaggio di essere alla spina: maggior gusto e meno bollicine.
    Con questa breve recensione si chiede il numero settimanale di “Non mi Siedo”, come sempre desidero ringraziare quanti mi seguono e darvi appuntamento alla settimana prossima con nuovi articoli e, forse, interviste. Un caloroso saluto a tutti voi dal vostro Franz
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    Rubrica "Non mi Siedo": un carretto di dolcezze


    di Franz Hopper
    per il Dilagon Post



    Buongiorno lettori di “Non mi Siedo”, è un vero piacere scrivervi anche questa settimana dalla redazione del Dilagon Post. L’unico giornale cittadino ad ospitare la prima enciclopedia del fast food. Stavo pensando di cambiar nome a questa rubrica ma aspetterò di sentire i vostri pareri prima di prendere una decisione. Quindi, senza ulteriori indugi, scrivetemi numerosi e ditemi cosa ne pensate! Colgo l’occasione per ringraziarvi della valanga di lettere che ho ricevuto la settimana scorsa, quasi non finivano più. Un po’ per volta, come faccio sempre, troverò il modo di rispondervi. Tolti di mezzo i convenevoli torno al St. Anthony Park, lo stesso quartiere visitato nell’ultimo numero, per un dolcissimo servizio.
    Vi scrivo infatti dal marciapiede affollato di persone, alla ricerca di un carretto piuttosto curioso di cui avevo sentito parlare ma non avevo mai avuto modo di incontrare. Dopo numerose segnalazioni da parte vostra (addirittura tre) ho deciso di mettermi in cerca di Molly e delle sue dolci tentazioni. Non ho particolari punti di riferimento quindi sono costretto a procedere a casaccio lungo le strade visitando piazzole, vicoli ciechi e parcheggi. E’ proprio in uno di questi che la trovo. A guidarmi è l’odore dolciastro dello zucchero: si fa sempre più forte tutt’attorno a me. Quando inizio a scorgere bambini con in mano torroncini e mandorle pralinate mi rendo conto di essere nel posto giusto. Le dolci tentazioni è un carretto d’altri tempi, di quelli in legno con grosse ruote bordate in ferro, sospinti a mano. I due grossi bracci laterali ospitano una macchina per i pop-corn ed una per lo zucchero a velo, sembra di trovarsi davanti un piccolo altarino delle prelibatezze. All’ombra offerta dal mezzo sta Molly, radiosa nella sua mezz’età, della quale ho tanto sentito parlare. Mi avvicino con un pretesto e do un’occhiata ai numerosi cesti di vimini presenti: ciascuno di essi, foderato all’interno, nasconde qualche dolcetto o biscotto rigorosamente fatto in caso. I prezzi, tutti attorno ai due o tre dollari, sono riferiti all’etto (100 grammi) di prodotto. Con dei grossi mestoli è possibile versare ciò che si desidera comprare in deliziosi sacchetti di carta e poi procedere alla pesatura ed al pagamento. Il mio sguardo si posa su un cestello pieno di mandorle pralinate e chiedo come le abbia realizzate. L’abile pasticcera mi spiega la ricetta con un largo sorriso: prima di tutto bisogna mettere a cuocere in un pentolino zucchero ed un po’ d’acqua, quando i due avranno formato un composto caramelloso si potranno aggiungere le mandorle e continuare a girare fino a far evaporare tutta l’acqua. Assieme alle classiche “praline” realizzate con semplice zucchero ne confeziona altre con cacao, pezzi di noci, frutta secca in polvere, cocco o zucchero di canna. Vengo a sapere che il procedimento è sempre lo stesso, basta aggiungere gli altri ingredienti nell’impasto iniziale. Spostando lo sguardo catturano la mia attenzione dei lecca-lecca rotondi dalle dimensioni mastodontiche. Mi viene detto dalla signora che sono realizzati da lei con zucchero, miele, menta o arance. Non dubito del fatto che i bambini impazziscano per dolciumi del genere. I torroni sono in bella vista su un vassoio di legno, non molto igienico ma decisamente accattivante. Anche quelli sono realizzati artigianalmente da lei, nulla di quanto vedo è comprato. Fatta eccezione per la macchina dello zucchero a velo, naturalmente. Anche in quel caso le combinazioni possibili sono numerose: dal normale zucchero bianco fine si può passare a quello un pochino più duro per avere dei fili granulosi, chi lo preferisce può tentare con lo zucchero di canna per un retrogusto amarognolo senza considerare la frutta caramellata che dà colore e sapori diversi. Alla fine ripiego sui pop-corn e, dopo aver ricevuto un grosso cestello fumante, lo vedo inzuppato di burro fuso per un dollaro e mezzo. Adoro Molly ed adoro la sua piccola bottega. Non resistendo alla tentazione prendo anche qualche mandorla pralinata: sono croccanti sotto i denti e molto dolci; non disgustano dopo un po’ e ciò mi porta a divorare il sacchetto senza rendermene conto. Si tratta di un bellissimo modo per attirare clienti, soprattutto i più giovani, proponendo dolcetti e piccole delizie per spezzare l’appetito. Anche i pop-corn sono molto saporiti ma a trionfare su tutto è il torrone, in particolar modo quello con miele e mandorle intere avvolto da un sottilissimo strato di cioccolato bianco. Mi piacerebbe avere più tempo da dedicare alla nostra nuova amica ma gli impegni mi chiamano e son costretto ad interrompere così la mia visita.
    Ricapitolando cari lettori se avete modo di passare per il St. Anthony Park con i vostri figli e siete in cerca di piccole prelibatezze cercate un carretto bianco dall’aroma dolce. Molly non ha un posto preferito, tende a mettersi dove trova spazio, ma di solito cerca di appostarsi vicino ai grandi parcheggi. Salutandola e ringraziandola per la scorpacciata termina questo numero di “Non mi Siedo”, l’enciclopedia del fast food a cura del vostro Franz che vi saluta e vi da appuntamento alla prossima settimana.
  14. .

    00. Freddo pungente


    Narrato

    Parlato altri Pg
    Parlato Franz

    Pensato Franz






    Franz Hopper
    Punti Vita: 105/105
    Punti Difesa: 23/23
    Bonus ai Punti difesa per schivare: 0
    Riduzione del danno: 0

    Note
    - Caratteri: 4.469
    - Arte livello 3

    Inventario
    Nessuno




    Le cose da fare al convento di Nostra Signora del Mare non finivano mai: arrivata la stagione invernale, forse unico momento di riposo per un giardiniere, Franz si era reso conto suo malgrado di dover provvedere ad un onere della massima importanza: evitare che le siepi gelassero. Faceva freddo nel South Side, un freddo pungente ed omicida. Aveva faticato molto a procurarsi i teloni cerati che ora giacevano nella piccola serra in disuso. Gli sarebbe piaciuto riportare in auge quel paradiso di volte in acciaio, pareti di plastica e luci rosse ormai infrante ma i fondi scarseggiavano. Già il convento aveva dovuto ritardare il suo ultimo stipendio, per quanto misero, di quindici giorni figurarsi poi l’inizio di un nuovo progetto piuttosto dispendioso. Scartando gli angoscianti pensieri dalla mente il giovane si strinse nel piumino nero. L’aria gelida gli feriva il viso, le mani al riparo sotto i guanti da lavoro erano intirizzite. Percorse ad ampi passi il giardino umido, il terreno cedeva sotto il peso dei suoi stivali. Le siepi stavano morendo. Se ne rendeva conto a colpo d’occhio: le foglie più superficiali, quelle ben visibili da tutti, apparivano già ingiallite e secche. I ramoscelli erano rigidi al tatto e poco flessibili: pessimo segno. Trovo opportuno valutare quanto stava facendo e, dimentico delle buone maniere, affondò le braccia nell’intricato rovo. Molte fronde si spezzarono mentre lui le attraversava con mani esperte. Non se ne curò: quelle infrante erano già morte. Sprofondò fino ai gomiti prima di fermarsi per tastare con maggiore impegno. Tra i ramoscelli duri e gelidi ne sentiva alcuni umidi al tatto, flessibili, vivi. Accarezzando con le dita tese i fusti più grandi poté sentire i piccoli nodi callosi che cercava con tanta apprensione: erano cacchi, nuovi germogli, la vita che si preparava a rinascere. Poté permettersi un sospiro di sollievo: le siepi non stavano morendo. Avrebbero superato l’inverno, forse non tutte ma ce l’avrebbero fatta. Con una potatura costante si sarebbe liberato dei rami morti. Valutò l’idea di una potatura celere ed immediata, una sorta di disboscamento che avrebbe eliminato tutte le parti gelati, ma la prudenza lo convinse a desistere: togliendo troppe foglie rischiava che la pianta intera morisse assiderata. No, era meglio lasciare le cose come stavano. Avrebbe accorciato i tempi di attesa per la potatura primaverile portando l’intervallo da due settimane ad una sola, così facendo i nuovi germogli avrebbero visto prima la luce del Sole. Si sentiva soddisfatto del proprio intervento ma avrebbe effettuato altri controlli per essere certo delle sue supposizioni. - E’ faticoso fare il giardiniere - si disse mentre lavorava in silenzio. Percosse in silenzio il perimetro del convento fermandosi ogni dieci passi. Ad ogni sosta affondava le braccia nell’irta siepe in cerca dei nuovi germogli e tastando i ramoscelli morti e quelli ancora vivi. La situazione appariva stazionaria lungo tutta la pianta, in realtà composta da tante piccole piante che erano state piantate ogni tre o quattro metri. Coprire tutto con un telo non sarebbe stato molto bello da vedere, se ne rendeva conto, ma avrebbe preservato i cespugli dal gelo. Contava di adottare quella soluzione provvisoria per poco, un paio di settimane al massimo, il tempo di far passare quel freddo maledetto. Tornando sui suoi passi rabbrividiva nella giacca pesante. Le tele cerate erano ammucchiate lì dove le aveva lasciate assieme a funi e nastro isolante. Erano pacchi da cinque metri per cinque, di quelli utilizzati nell’edilizia, ma avrebbe saputo cosa farne. Collocarle sulle siepi irsute fu un compito difficile che richiese gran parte delle sue forze, dopo neppure mezz’ora di lavoro aveva già il fiato corto e grosse nuvolette chiare uscivano dalla sua bocca ad ogni respiro. Per fortuna i bambini erano già a lezione quindi poteva lavorare senza essere disturbato. Ogni tanto una suora stretta in un pesante cappotto passava di lì ma si scambiavano solo un veloce saluto. Adorava lavorare con i suoi ritmi, senza fretta, ben conscio di quale fosse il suo dovere. Dopo aver posizionato i teli si costrinse a fissarli al terreno tramite paletti di legno prodotti artigianalmente, non erano il massimo della resa ma sembravano solidi e resistenti. Praticò dei piccoli fori alla base per garantire il ricambio d’aria e sì allontanò celermente in cerca di calore. - Speriamo che questo freddo passi presto - si disse.



    Codici di » Franz

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    Rubrica "Mi Siedo": il Nautilus arenato


    di Franz Hopper
    per il Dilagon Post



    Buon giorno carissimi lettori e ben ritrovati all'appuntamento settimanale con "Mi Siedo", la rubrica di critica culinaria che da mesi oramai adorna le colonne del Dilagon Post. Prima di qualsiasi altra cosa desidero scusarmi per la mancata edizione della scorsa settimana: per problemi logistici non ho potuto dedicare alla testata l'attenzione che merita. Purtroppo alcuni impegni hanno gravato sulle mie spalle costringendomi a rimandare la stesura. Ma ora sono qui, di nuovo libero e motivato a darvi quanto più mi è possibile concedere. Come sempre vorrei ringraziare i lettori, sempre più numerosi, che mi scrivono inviandomi suggerimenti, pareri e critiche. Per quanti si erano preoccupati per il mio stato di salute voglio rassicurarvi: sono sano come un pesce. Ed è proprio di pesci che voglio parlarvi oggi, scendendo dalle parti del porto.
    Mi trovo in South Side, vicinissimo ai mastodontici moli, dove posso sentire chiaramente il ruggito del mare invernale ed il gracidare secco dei gabbiani. Al numero civico 385, a pochi passi dall'inizio della zona maggiormente trafficata, si trova la “Taverna del marinaio”. Ad un primo sguardo appare simile ad una qualsiasi casa privata: si erge su due piani di cui solo quello più basso è adibito a ristorante, cancello in ferro battuto ed ampio cortile interno. Ad assicurarmi di essere nel posto giusto ci pensa un rustico cartello in legno, molto in voga da queste parti, recante il nome del locale inciso sopra. I lettori di un tempo, coloro che mi seguono dal primo numero, ricorderanno che un altro locale sempre del South Side recava un’insegna in legno: parlo del pub “Il Timone” gestito da Manny. Niente indicazioni stradali nella zona ma poco importa: la location è ben visibile dalla strada. Come se non fosse sufficiente, messo lì a fuorviare ogni dubbio c’è una piccola imbarcazione in legno oramai marcio. Mi fermo qualche secondo ad osservarla: è un peschereccio d’altri tempi, troppo piccolo per un albero maestro, a remi. Sul fianco, ormai sbiadito, è ben visibile il nome: Nautilus. Ridendo dell’improvvisato capitan Nemo mi rendo conto che il mezzo è ben arenato in un tappetto d’erba mentre una densa coltre d’edera fa quel che può per ricoprirlo. Un fianco, completamente squarciato, ospita un cespuglio germogliante. L’originale monumento anticipa (ma neppure tanto) il piatto forte del ristorante: il pesce fresco. Il giardino attorno la tenuta è piuttosto grande, ospita tranquillamente una mezza dozzina di auto e riesce a ricavarne lo spazio sufficiente per un piccolo parco giochi: un altalena, un dondolo ed uno scivolo. Alcuni bambini giocano controllati a vista dalle madri premurose ed inizio ad intuire che il locale sia orientato verso la ristorazione familiare. Ho prenotato con il mio vero nome, non che mi aspetti chissà quale trattamento di favore, entro con calma. Il ristorante è in stile agricolo: pareti di pietre a vista, volte a botte molto ampie, grandi lucernari con telai in legno. Occhio e croce mi sembra di scorgere una quarantina di posti a sedere, poco dopo mi viene detto che l’interno può ospitare sessanta persone; quando il tempo lo permette portano altri tavoli all’esterno (con gran gioia per i fumatori) arrivando ad un coperto di centodieci unità. Dominano i colori chiari, soprattutto il bianco dei grossi sassi che rivestono il muro. Sono appese foto in bianco e nero di pesca e pescherecci. Le solite quattro o cinque persone presenziano in quasi tutte le istantanee, quando lo chiedo mi viene detto che si tratta dei proprietari del locale, oramai in pensione. La sala da pranzo è molto grande e spaziosa, sembra ricavata da un vecchio granaio. Robusti tavoli in legno, tovaglie in lino, un servizio piuttosto raffinato. Molti coltelli da pesce dalle lame larghe e seghettate, chi non è pratico potrebbe trovarsi in imbarazzo. Il menù è piuttosto vario e tutt’altro che monotono: antipasti di vario genere, primi e secondi a base di pesce, contorni, frutta, dolci e bevande.
    Partendo dagli aperitivi posso saltare a piedi pari i classici stuzzichini surgelati da ristorante (patatine fritte, chele di granchio, olive ascolane) al tradizionale prezzo di tre dollari e mezzo per passare a bruschette di vario tipo con pezzi di baccalà o salmone sopra. Quest’ultimo in particolare può essere ordinato fresco oppure affumicato, in base ai gusti. Personalmente suggerisco di provarli entrambi: la stagionatura al caldo dona un sapore più intenso che rimane a lungo sul palato ma la porzione fresca esalta i forti sapori del mare. Il pesce, come ricordato più volte nel menù, è rigorosamente fresco e pescato in giornata, cosa della quale non dubito dopo il primo morso. Mi sembra di notare un uso moderatissimo delle salse, il pane è praticamente senza sale, al quale si preferisce un filo abbondante d’olio. Ketchup e maionese non sono neppure presenti sul menù o tra i tavoli, se questa lancia difende con valore i sapori tradizionali sembra condannare senza pietà chi (soprattutto tra i bambini) non può farne a meno quando mangia fuori casa. Per coloro che lo desiderano è possibile ordinare piccoli bocconcini di totano o merluzzo fritti: consiglio fortemente di provarli poiché saranno il piatto forte del secondo. Vengono serviti al piatto, ancora coperti da una sottile patina d’olio, e seppur se ne senta l’aroma fresco (si tratta indubbiamente di olio extravergine d’oliva) tendono a rimanere pesanti sullo stomaco.
    Come primi dominano con forza i brodi (di varia natura) per un prezzo medio sui quindici dollari a portata. Al classico brodo semplice di mare con crostini e verdure se ne aggiungono altri con tortellini, cozze, frutti di mare o calamari. Il brodo di vongole è particolarmente gustoso ma richiede una certa abilità con questo frutto di mare che va poi pulito con l’ausilio di una piccola paletta. Per chi, come il sottoscritto, non va pazzo per i primi liquidi la scelta di pasta è limitata ad alcuni spaghetti. Il condimento principale viene chiamato sugo di mare (cipolle soffritte, gamberetti, sedano, olio, origano, testa di pesce lasciata riposare , una puntina di vino bianco) ed è piuttosto gustoso, la mancanza di sale viene compensata dal forte sapore della salsedine. Per i più audaci suggerisco le tagliatelle al nero di seppia che, seppur raccapriccianti nell’aspetto, nascondono un ottimo sapore.
    I secondi rendono onore al mare di Dilagon City ed iniziare con delle seppie ripiene mi sembra doveroso: le dimensioni di un singolo animale superano tranquillamente i venti centimetri e rischiano di fuggire dal piatto. Il ripieno per eccellenza prevede formaggio, pan grattato e uova ma sono disponibili piatti simili che presentano al loro interno pancetta, mozzarella, prosciutto cotto e peperoncino piccante. Per i golosi è possibile affogare la seppia nel sugo prima di servirla, solo su richiesta. Il tagliere di pesce grigliato è suggerito per un minimo di due persone e conta merluzzi, gamberi, seppie e tranci di polipo. Per trenta dollari si può avere un granchio bollito ma essendo un prodotto particolarmente raffinato richiede una certa abilità nel rompere ed estrarre il carapace senza contaminare la polpa. E’ possibile, se si ha il coraggio di chiederlo, farsi aiutare dai camerieri nelle operazioni più complesse ed essi accorrono con estrema gentilezza. Per chi è un po’ più esperto consiglio di provare il crostaceo: il sapore intenso e delicato vale tutti i soldi spesi. Fatta eccezione per quanto descritto non scorgo altri prodotti che potremmo riservare all’alta cucina: nel complesso il locale sembra indirizzarsi ad una clientela di ceto medio con un discreto successo. I misti di pesce fritto rappresentano una grande conquista per i più piccoli, in particolar modo le acciughe o i pezzi di totano che vengono serviti in porzioni abbondanti. Per dieci dollari si possono far contenti i più piccoli con gran sollievo dei genitori. I pesci al cartoccio sono i più famosi (tonno, orata e salmone) ma ne suggerisco il consumo solo agli appassionati di cucina marittima: il sapore leggermente blando e fortemente aromatizzato non è gradito a chi si sta avvicinando a questa branca dell’arte culinaria. Come già ribadito in precedenza tutti i pesci sul listino sono freschi di cattura e tirati a bordo in mattinata. Ciò potrebbe creare dei disservizi in giornate di maltempo (nel caso in cui i pescherecci non possano uscire per mare) e suggerisco sempre di chiedere quali prodotti siano disponibili e quali no onde evitare delusioni a metà pasto. Delusioni che, se devo essere onesto, è comunque difficile ricevere vista la bontà dei piatti serviti. Ultimo elemento che cattura la mia attenzione, seppur non così trascurabile come sembra, sono le vongole ripiene: uova, pan grattato e formaggio sono i componenti chiave ma è possibile sostituirli con carne, mozzarella o prosciutto cotto a cubetti. Salvo le eccezioni che vi ho riportato il prezzo medio per un secondo si aggira sui venti dollari, una spesa piuttosto comprensibile e giustificata prima di passare ai contorni.
    I contorni, purtroppo, sono la pecora nera del ristorante: insalate miste o anche di rucola non sono tenute minimamente in conto sul menù. Si può avere una patata bollita o cotta al forno, vengono di nuovo offerte le stesse patatine fritte dell’antipasto assieme agli irriducibili stuzzichini ma niente che attiri l’attenzione del cliente. E’ la mancanza di verdure a sorprendermi: perché non metterle? Sarebbe bastato anche un piatto di spinaci che con il loro sapore amaro potessero contrastare quello del pesce a soddisfarmi del tutto, invece no. Non so se essere più deluso o amareggiato.
    Frutta di stagione, niente lode né infamia, è possibile avere anche della frutta candita ma si tratta di un prodotto sottovuoto e personalmente lo sconsiglio. I dolci sono pochi, in fin dei conti è difficile sposarli con un menù di pesce, e quei pochi sono torte gelato o cheesecake surgelati. Niente prodotto in casa.
    E’ la scelta dei vini a fare la differenza: recarsi alla “Taverna del Marinaio” e bere bevande gassate è come andare al museo con gli occhi bendati. Nella lista dominano i bianchi, esattamente come dovrebbe essere, ed i due o tre rossi sono comunque poco corposi e molto frizzanti. Per chi non può fare a meno di un vino abbastanza forte si presenta una raccolta di tutto rispetto di rosati: dolci e morbidi al palato, sia normali che leggermente gassati. L’ideale sarebbe prendere due bottiglie: una più dolce e corposa per il primo ed un’altra leggera ma frizzante per i secondi. In questo caso sembra che le bollicine si accompagnino meglio al fritto, le grigliate potrebbero richiedere un rosato dal gusto intenso. I prezzi partono dai sette dollari per superare di poco i trenta, al consumatore la scelta del vino che meglio si abbina ai suoi gusti.
    Concludendo cari lettori posso dire di essere uscito abbastanza soddisfatto dalla taverna. Non ho riscontrato pecche nel servizio e tutti i piatti ordinati mi sono sembrati piuttosto buoni, decisamente in linea con il prezzo. La mancanza di sale aggiunto tende a sentirsi con i secondi, al contrario il sugo dei primi è decisamente saporito. Salvo questo piccolo intoppo (legato tra l’altro ai gusti) e la mancanza di contorni decenti non scorgo altri difetti in questo locale. Il prezzo finale è decisamente sopra gli standard a cui sono abituato da quando gestito questa rubrica ma non me ne pento affatto. La “Taverna del Marinaio” è un ristorante di tutto rispetto adatto sia alle comitive di amici che alle famiglie: il menù può adattarsi ad ogni esigenza ed accontenta tutti senza eccezioni. Con un gran pollice alzato saluto tutti voi dalla redazione di “Mi Siedo” e vi do appuntamento alla settimana prossima con un nuovo articolo. C’è la lieve possibilità che il nuovo pezzo di “Non mi Siedo” esca con qualche giorno di ritardo a causa di un progetto piuttosto innovativo che sto seguendo ma in tal caso rimedierò il problema anticipando un’altra edizione di questa testata. Prima di andare porgo i miei saluti a Matt e Don (che mi hanno parlato del locale appena trattato) e a tutto lo staff della “Taverna del Marinaio” augurandomi che leggano questo articolo sul Dilagon Post.
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