-
.
Ed in questo secondo caso, volendo ripartire da zero, cosa ne sarebbe degli effetti personali? A meno che non sia possibile "passarli" al futuro Pg tramite Memorie Perdute o quest è possibile lasciarle ad altri pg? -
.
Oltre alla morte del proprio pg ci sono altri metodi per cambiare pg? -
.03. Casa HollandCodici di » Franz
-
.
Grazie GM. Avrei una domanda sulla spada di bronzo: la clausola del taglio per attivarne il bonus va ripetuta ad ogni quest o fatta una volta rimane "attiva" fintanto che qualcun'altro non si taglia a sua volta? -
.02. Casa HollandCodici di » Franz
-
.01. Casa HollandCodici di » Franz
-
.
-
.00. Padre e figlioCodici di » Franz
-
.
Rubrica "Non mi Siedo": passeggiando per i viali
di Franz Hopper
per il Dilagon Post
Buongiorno a quanti mi stanno seguendo sulle colonne del Dilagon Post e ben ritrovati a questa edizione, del tutto fuori dagli schemi, di “Non mi Siedo”. Eccezionalmente per questa settimana l’enciclopedia del fast food potrà contare su due articoli grazie ad una gentile concessione da parte degli editori. Senza ulteriori indugi torno tra le strade di Dilagon City per la testata odierna.
Il mio pellegrinaggio mi ha portato a Colbell, nel cuore pulsante di questa metropoli, in un delizioso parco poco dopo la diramazione tra New Side e North Side. Sono sulle tracce di una paninoteca molto famosa in zona che si dice serva dei piatti veramente unici. Percorrendo l’elegante viale alberato avverto subito nell’aria un aroma intenso di carne che riesco a seguire fino all’ambita meta. Eccomi arrivato “Ai viali”, la paninoteca da asporto di cui tanto avevo sentito parlare. Dall’esterno appare simile ad un piccolo edificio: pareti in mattoni rossastri, un’unica parete a vetro e porta trasparente. Attraverso riesco a scorgere l’alto bancone con fornelli a vista ed oltre una porticina che credo dia sulla dispensa. Senza indugiare oltre entro. Le varie piastre a vista sono piene di ogni sorta di cibo, stessa cosa posso dire del bancone in vetro dove spuntano salsicce, bistecche ed hamburger crudi. Sembra di trovarsi in una macelleria più che in locale, l’odore della carne cruda ristagna sulle teste dei clienti. Non ci sono sedie né tavoli, lo spazio è appena sufficiente affinché si formi una breve coda. Una volta ordinato e ritirato il prodotto bisogna andare a mangiarlo fuori. Da un rapido sguardo colgo una spessa tenda in stoffa che viene lasciata scivolare su travi di ferro come fosse una paratia in caso di pioggia. Trovo penzolanti dal soffitto vari menù scritti con pennarello nero su cartoncino colorato. Mi rendo conto che i listini sono quattro: bevande, friggitoria, piatti della casa, panini ed hot dog.
Le bevande sono le prime ad attirare la mia attenzione: il locale offre un’ampia varietà di bibite gassate, dalle più famose a quelle meno note. I prezzi partono da due dollari per i cosiddetti “bicchieri” (equivalenti a 0.2 litri di prodotto) ed aumentano di un dollaro per quantità superiori (mezzo litro, 8 decilitri) fino ai quatto dollari e cinquanta (prezzo omaggio) per un litro intero. Come spesso accade sono disponibili sia versioni in bottiglie di plastica che alla spina secondo i gusti. Le birre, tutte rigorosamente in contenitori di vetro, hanno prezzi che variano dai due dollari e mezzo ai quattro in base alla qualità del prodotto ed alla marca. Abbondano le birre chiare, soprattutto le bionde, maggiormente note ed apprezzate. Un paio di rosse per intenditori ma niente di più. A stupire maggiormente sono i vini venduti in bottiglie da 75 centilitri: tutti di basso rango, neppure uno rinomato, con prezzi base di sette dollari: un vero furto.
Per “friggitoria” immagino si riferiscano ai cibi fritti offerti e scorrendo velocemente il listino ho conferma della mia supposizione. Anche in questo caso si rimane sul classico: patatine fritte, olive ascolane, anelli di cipolla, mozzarelline impanate, fiori di zucca fritti. Tutti prodotti rigorosamente surgelati, estratti e poi cotti. Come sempre sono disponibili tre formati (piccolo, medio e grande) con prezzi che partono da un dollaro e cinquanta per salire di mezzo dollaro ogni volta. Una piccola nota per i consumatori: la porzione “piccola” è veramente piccola! A meno che non la si prenda per dei bambini è necessario acquistarne una media per sentirsi in parte sazi. Il gusto salato è ben coperto dalle salse disponibili (ketchup e maionese) versate a fiume su richiesta.
I piatti della casa sembrano una mucchiata di secondi gettati alla rinfusa su carta: mozzarelle, polpette, insalate, bistecche e tanto altro da farmi accapponare la pelle. Quanto ordinato viene servito in piatti di plastica per il consumo immediato, impossibile pensare all’asporto. Le mozzarelle sembrano fresche e genuine, non mancano i condimenti forti come sale, olio e pepe. Al contrario le mozzarelle, cotte in un basso tegame sulla piastra rovente, sono dure, secche e stoppose: il sistema di cottura andrebbe cambiato con uno più tradizionale. Le insalate abbondano in piccoli cestini di plastica: da quelle classiche con lattuga, rucola, sale ed olio si passa alle più elaborate che contengono maionese, limone, aceto (sia bianco che nero), carote, cipolle (lesse o soffritte) e finocchi (crudi o cotti). Ogni abbinamento prende un nome particolare ed è di facile consultazione, il prezzo si aggira sempre sui cinque dollari a porzione.
Panini ed hot dog sono la parte più interessante (e lunga) del menù. Anticipo subito che ogni panino disponibile ha una controparte hot dog praticamente uguale, pertanto elencandone uno ne starò trattando invece i due aspetti. I prezzi, per cominciare, partono dai due dollari e cinquanta per le versioni base e salgono fino ai dieci per quelli maggiormente elaborati. Dal classico panino con carne ed una fetta di formaggio andiamo al doppio cheeseburger (con due tipi di formaggi diversi) al triplo cheeseburger (gorgonzola, gruviera ed emmentaler) dal sapore deciso. Lattuga, cicoria e mozzarella a fette sono disponibili nel “salade burger”: quattro dollari di gusto verde. In tema verde ma soprattutto vegetariano troviamo gli hamburger di soia con i rispettivi hot dog: il prezzo di cinque dollari sembra eccessivo se paragonato alla qualità del prodotto. Sempre a cinque dollari iniziano i panini “duecentocinquanta” ovvero con fette di carne macinata dal peso (crudo) di duecentocinquanta grammi. Ai più vecchi lettori tutto ciò ricorderà il “Deposito di Tom” di cui parlai nelle prime edizioni della rubrica “Mi Siedo”. Nonostante il nome accattivante si tratta di hambuger ed hot dog piuttosto comuni dagli abbinamenti ormai soliti ai quali siamo abituati. Allo stesso prezzo fanno riferimento il doppio hamburger (con due strati di carne, lattuga, pomodoro e formaggio fuso) ed il “sea burger”: filetto di merluzzo impanato e fritto, salsa di gamberetti, insalata, qualche frutto di mare. Saliamo di un dollaro per carni più raffinate: il cervo ed il cinghiale la fanno da padrona. A quota sette dollari iniziano i piatti veramente interessanti: carne avvolta nel bacon o servita con cipolle fritte, uova all’occhio di bue tra lattuga e pomodoro. Ogni aggiunta può essere pagata a parte con un aumento di cinquanta centesimi e ciò mette d’accordo anche i clienti più esigenti. “Oil burger” presenta al suo interno sottaceti d’ogni tipo: melanzane e cetriolini, olive, cipolle e quanto di più oleoso esista al mondo per soli otto dollari. Dagli otto dollari e cinquanta in poi si discute solo con panini “duecentocinquanta” leggermente più raffinati: insalate varie, strisce di cipolla soffritte ma anche patatine. Per dieci dollari e cinquanta è possibile ottenere il panino “cinquecento” che, al termine di questo articolo, dovrebbe essere di facile intuizione. Tale piatto viene servito privo di salse e condimenti da aggiungere, previo pagamento dell’imposta aggiuntiva, in base ai gusti del cliente. Quest’ultima sfida si rivela piuttosto impegnativa e da uno dei giovani commessi vengo a sapere che sono molti i ragazzi che non riescono a terminare il pasto. Alcuni, mi rileva, la prendono addirittura come una sfida personale. Ridendo sotto i baffi pago il conto ed esco dopo essermi fatto un’idea abbastanza chiara del locale.
“Ai viali” è la paninoteca per ceti medio-alti. I prezzi sono più quelli del North Side che di Colbell e credo che i gestori lo sappiano bene. I vini sono riservati a giovani che intendono ostentare le proprie ricchezze, per questo i prezzi di base sono vergognosamente elevati. Tralasciando la discutibile scelta posso dire che i panini sono gustosi e sostanziosi, nulla da invidiare ad altre paninoteche maggiormente rinomate. Tuttavia esistono (e mi sono già trovato a recensirli) locali con prodotti quasi uguali a prezzi decisamente inferiori. Senza voler attribuire pregi o difetti eccessivi il vostro Franz vi saluta e vi da appuntamento al prossimo numero di “Non mi Siedo”, la grande enciclopedia del fast food sempre e solo a cura del Dilagon Post. -
.
Fratelli, non con le mani ma coi coltelli!
Pace, amore e gioia infinita!
Perché non vivete tutti in tranquillità anziché volervi sempre massacrare?
Comunque benvenuta su Pandemonio! Sarà bello leggere finalmente di una clericale -
.
Trinacria in Sicilia per caso? Wow, sono confuso.
In ogni caso benvenuta su Pandemonio. Anch'io seguo con vivo interesse (ossessione) la serie Castle insieme a millemila altre. Mi molto piacere leggere di questo nuovo terzetto che si sta formando anche se non ho mai avuto l'occasione di ruolare con Lhou.
Spero ti troverai bene qui! -
.
Rubrica "Non mi Siedo": sotto la pioggia
di Franz Hopper
per il Dilagon Post
Un felice augurio di buon inizio settimana a tutti voi lettori di “Non mi Siedo”, l’ormai celebre (forse) enciclopedia di cucina veloce che come sempre esce tra le colonne del Dilagon Post. Dopo l’articolo della scorsa settimana ho ricevuto numerose lettere da diverse persone con consigli, suggerimenti e qualche invito. Sembra che, così come già accaduto per “Mi Siedo”, la rubrica di critica culinaria, alcuni venditori di cibo da asporto abbiano intenzione di rilasciarmi un’intervista in esclusiva. Mentre valuto queste nuove ed imprevedibili offerte ho deciso di spendere qualche riga a parlarvi del meteo: è solo una mia impressione o negli ultimi giorni il clima è decisamente mutato? Non credo di essere l’unico ad aver notato che in poco più di una settimana siamo passati dall’inverno mite e sereno a delle abbondanti precipitazioni. Nell’ultimo periodo soprattutto sembra che il cielo non voglia dare pace a Dilagon City rovesciandoci addosso diversi centimetri d’acqua. Cosa c’entra tutto questo con la rubrica? C’entra eccome visto che proprio la pioggia ha dato il via ad una mia piccola avventura culinaria.
Ero in auto con un amico, poco dopo cena, ed insieme scendevamo da Laman Street verso Dilagon Square costeggiando gli Undergrounds. Alle nostre spalle avevamo lasciato l’incrocio con Jerton da meno di un chilometro quando ormai archiviati gli argomenti principali trovammo doveroso discutere del cattivo tempo. Un pensiero mi affollava la testa: come poteva una persona mangiare sotto quella pioggia scrosciante senza bagnarsi? Esponendo quel dubbio ad alta voce scoprii che il guidatore conosceva la risposta. Senza ulteriori indugi mi condusse al numero civico 1311 sotto un’anonima tettoia rossa. Potevo forse immaginare che si trattasse del “Balla sotto la pioggia”? Proprio così cari lettori: in Laman Street esiste un locale specializzato nel servire cibi e bevande unicamente takeaway. La struttura, situata praticamente al margine della carreggiata, somiglia ad un comune parcheggio a pagamento. Una volta sotto le tettoie in lamiera basta seguire il senso unico per giungere alla piccola casetta bianca di cemento posta in fondo e fare la propria ordinazione. Il cameriere di fiducia ed unico contatto umano per tutto il tempo della ristorazione prende le ordinazioni, si cura che quanto scelto sia pronto e ritira il pagamento. Il menù consiste in un grosso cartellone di plastica poco distante: ben illuminato da diversi faretti spiega nel dettaglio il contenuto di ogni prodotto e l’origine artigianale o industriale (in caso di cibi precotti, surgelati o confezionati). Il novanta per cento del servizio è composto da panini: dai tramezzini agli hot dog si passa tranquillamente per gli hamburger e per varie fasce di prezzo. Poiché la ressa di macchine strombettanti in attesa alle spalle potrebbe mettere una certa fretta trovo doveroso recensire velocemente i prodotti più in vista per dare al lettore un’idea di quelle che potrebbero essere o meno le pietanze di suo gradimento. Una premessa è strettamente necessaria: dimenticate il pane fatto artigianalmente. Tutte le basi per panini ed hot dog sono rigorosamente di stampo industriale, acquistate in stocchi per la grande ristorazione. Se siete alla ricerca del cibo raffinato a km0 o dei sapori autentici uscite alla massima velocità consentita: “Balla sotto la pioggia” non è per voi. I prezzi, fortunatamente, si mantengono bassi come le aspettative: siamo attorno si due dollari e cinquanta, quattro dollari e mezzo per i prodotti più “grossi”. Per “grossi” intendo veramente “grossi”: sul listino sono presenti una serie di articoli targati XXL non tanto per fare spettacolo quanto per rendere l’idea delle dimensioni. Questo marchio particolare, come rapidamente spiegato dal commesso, indica prodotti molto grandi, veramente grossi. L’hot dog XXL, per esempio, è risultato essere due volte un normale panino. La carne, anch’essa proveniente dalla grande distribuzione, è di stampo industriale: dura e stopposa. Uso eccessivo delle salse (necessarie a coprire i sapori appena passabili) e dei contorni (patatine, lattuga, pomodori) che avvolgono gli hamburger. Non si tratta del massimo per quanto riguarda freschezza o genuinità ma “Balla sotto la pioggia” potrebbe essere un buon ricovero d’emergenza per le fame improvvisa. Le patatine fritte, se posso suggerirlo, sono veramente gustose seppur abbondano di sale; moderazione tuttavia nelle porzioni: una piccola può sfamare tranquillamente due persone, la media è più che sufficiente ad accontentare quanti sono in macchina, la grande sembra indicata per una squadra di football. Anche la pancetta fritta sporge dai tramezzini rosolata e croccante, il sapore leggermente gommoso si maschera velocemente. Prestate attenzione e state alla larga dai piatti “della casa”, ovvero a tutto ciò che non è contenuto tra due fette di pane: potrebbe essere la vostra ultima esperienza. Tralasciando piccole polpette di dubbia carne affogate in una sorta di salsa ketchup ci sono state rifilate cotolette simili a suole delle scarpe impanate per non parlare delle verdure da contorno ancora mezze congelate e grondanti acqua. Le insalate, infine, sono da evitare: condite con sale, zucchero (perché mai?) e qualcosa che assomiglia vagamente ad aceto bianco hanno il tipico sapore stantio dei cibi a lunga conservazione, sembra di star mangiando del cartone. Concludendo, cari amici, posso dirvi che questo locale non è proprio il non plus ultra della qualità a basso costo ma i prezzi sono di certo rapportati alla qualità del prodotto. Il “Balla sotto la pioggia” meriterebbe una visita di tanto in tanto ma non più di qualche hamburger da sgranocchiare frettolosamente sulla via di casa o mentre si va al cinema. La possibilità di pagare con carta di credito è molto comoda ma non so quanto possa essere vantaggioso vedersi scalare uno o due dollari per la transazione quando la cena stessa costa due dollari! Le bevande, tanto per aggiungere un’altra nota positiva, sono costituite dai principali drink gassati reperibili in ogni bar ma hanno il vantaggio di essere alla spina: maggior gusto e meno bollicine.
Con questa breve recensione si chiede il numero settimanale di “Non mi Siedo”, come sempre desidero ringraziare quanti mi seguono e darvi appuntamento alla settimana prossima con nuovi articoli e, forse, interviste. Un caloroso saluto a tutti voi dal vostro Franz -
.
Rubrica "Non mi Siedo": un carretto di dolcezze
di Franz Hopper
per il Dilagon Post
Buongiorno lettori di “Non mi Siedo”, è un vero piacere scrivervi anche questa settimana dalla redazione del Dilagon Post. L’unico giornale cittadino ad ospitare la prima enciclopedia del fast food. Stavo pensando di cambiar nome a questa rubrica ma aspetterò di sentire i vostri pareri prima di prendere una decisione. Quindi, senza ulteriori indugi, scrivetemi numerosi e ditemi cosa ne pensate! Colgo l’occasione per ringraziarvi della valanga di lettere che ho ricevuto la settimana scorsa, quasi non finivano più. Un po’ per volta, come faccio sempre, troverò il modo di rispondervi. Tolti di mezzo i convenevoli torno al St. Anthony Park, lo stesso quartiere visitato nell’ultimo numero, per un dolcissimo servizio.
Vi scrivo infatti dal marciapiede affollato di persone, alla ricerca di un carretto piuttosto curioso di cui avevo sentito parlare ma non avevo mai avuto modo di incontrare. Dopo numerose segnalazioni da parte vostra (addirittura tre) ho deciso di mettermi in cerca di Molly e delle sue dolci tentazioni. Non ho particolari punti di riferimento quindi sono costretto a procedere a casaccio lungo le strade visitando piazzole, vicoli ciechi e parcheggi. E’ proprio in uno di questi che la trovo. A guidarmi è l’odore dolciastro dello zucchero: si fa sempre più forte tutt’attorno a me. Quando inizio a scorgere bambini con in mano torroncini e mandorle pralinate mi rendo conto di essere nel posto giusto. Le dolci tentazioni è un carretto d’altri tempi, di quelli in legno con grosse ruote bordate in ferro, sospinti a mano. I due grossi bracci laterali ospitano una macchina per i pop-corn ed una per lo zucchero a velo, sembra di trovarsi davanti un piccolo altarino delle prelibatezze. All’ombra offerta dal mezzo sta Molly, radiosa nella sua mezz’età, della quale ho tanto sentito parlare. Mi avvicino con un pretesto e do un’occhiata ai numerosi cesti di vimini presenti: ciascuno di essi, foderato all’interno, nasconde qualche dolcetto o biscotto rigorosamente fatto in caso. I prezzi, tutti attorno ai due o tre dollari, sono riferiti all’etto (100 grammi) di prodotto. Con dei grossi mestoli è possibile versare ciò che si desidera comprare in deliziosi sacchetti di carta e poi procedere alla pesatura ed al pagamento. Il mio sguardo si posa su un cestello pieno di mandorle pralinate e chiedo come le abbia realizzate. L’abile pasticcera mi spiega la ricetta con un largo sorriso: prima di tutto bisogna mettere a cuocere in un pentolino zucchero ed un po’ d’acqua, quando i due avranno formato un composto caramelloso si potranno aggiungere le mandorle e continuare a girare fino a far evaporare tutta l’acqua. Assieme alle classiche “praline” realizzate con semplice zucchero ne confeziona altre con cacao, pezzi di noci, frutta secca in polvere, cocco o zucchero di canna. Vengo a sapere che il procedimento è sempre lo stesso, basta aggiungere gli altri ingredienti nell’impasto iniziale. Spostando lo sguardo catturano la mia attenzione dei lecca-lecca rotondi dalle dimensioni mastodontiche. Mi viene detto dalla signora che sono realizzati da lei con zucchero, miele, menta o arance. Non dubito del fatto che i bambini impazziscano per dolciumi del genere. I torroni sono in bella vista su un vassoio di legno, non molto igienico ma decisamente accattivante. Anche quelli sono realizzati artigianalmente da lei, nulla di quanto vedo è comprato. Fatta eccezione per la macchina dello zucchero a velo, naturalmente. Anche in quel caso le combinazioni possibili sono numerose: dal normale zucchero bianco fine si può passare a quello un pochino più duro per avere dei fili granulosi, chi lo preferisce può tentare con lo zucchero di canna per un retrogusto amarognolo senza considerare la frutta caramellata che dà colore e sapori diversi. Alla fine ripiego sui pop-corn e, dopo aver ricevuto un grosso cestello fumante, lo vedo inzuppato di burro fuso per un dollaro e mezzo. Adoro Molly ed adoro la sua piccola bottega. Non resistendo alla tentazione prendo anche qualche mandorla pralinata: sono croccanti sotto i denti e molto dolci; non disgustano dopo un po’ e ciò mi porta a divorare il sacchetto senza rendermene conto. Si tratta di un bellissimo modo per attirare clienti, soprattutto i più giovani, proponendo dolcetti e piccole delizie per spezzare l’appetito. Anche i pop-corn sono molto saporiti ma a trionfare su tutto è il torrone, in particolar modo quello con miele e mandorle intere avvolto da un sottilissimo strato di cioccolato bianco. Mi piacerebbe avere più tempo da dedicare alla nostra nuova amica ma gli impegni mi chiamano e son costretto ad interrompere così la mia visita.
Ricapitolando cari lettori se avete modo di passare per il St. Anthony Park con i vostri figli e siete in cerca di piccole prelibatezze cercate un carretto bianco dall’aroma dolce. Molly non ha un posto preferito, tende a mettersi dove trova spazio, ma di solito cerca di appostarsi vicino ai grandi parcheggi. Salutandola e ringraziandola per la scorpacciata termina questo numero di “Non mi Siedo”, l’enciclopedia del fast food a cura del vostro Franz che vi saluta e vi da appuntamento alla prossima settimana. -
.00. Freddo pungenteCodici di » Franz
-
.
Rubrica "Mi Siedo": il Nautilus arenato
di Franz Hopper
per il Dilagon Post
Buon giorno carissimi lettori e ben ritrovati all'appuntamento settimanale con "Mi Siedo", la rubrica di critica culinaria che da mesi oramai adorna le colonne del Dilagon Post. Prima di qualsiasi altra cosa desidero scusarmi per la mancata edizione della scorsa settimana: per problemi logistici non ho potuto dedicare alla testata l'attenzione che merita. Purtroppo alcuni impegni hanno gravato sulle mie spalle costringendomi a rimandare la stesura. Ma ora sono qui, di nuovo libero e motivato a darvi quanto più mi è possibile concedere. Come sempre vorrei ringraziare i lettori, sempre più numerosi, che mi scrivono inviandomi suggerimenti, pareri e critiche. Per quanti si erano preoccupati per il mio stato di salute voglio rassicurarvi: sono sano come un pesce. Ed è proprio di pesci che voglio parlarvi oggi, scendendo dalle parti del porto.
Mi trovo in South Side, vicinissimo ai mastodontici moli, dove posso sentire chiaramente il ruggito del mare invernale ed il gracidare secco dei gabbiani. Al numero civico 385, a pochi passi dall'inizio della zona maggiormente trafficata, si trova la “Taverna del marinaio”. Ad un primo sguardo appare simile ad una qualsiasi casa privata: si erge su due piani di cui solo quello più basso è adibito a ristorante, cancello in ferro battuto ed ampio cortile interno. Ad assicurarmi di essere nel posto giusto ci pensa un rustico cartello in legno, molto in voga da queste parti, recante il nome del locale inciso sopra. I lettori di un tempo, coloro che mi seguono dal primo numero, ricorderanno che un altro locale sempre del South Side recava un’insegna in legno: parlo del pub “Il Timone” gestito da Manny. Niente indicazioni stradali nella zona ma poco importa: la location è ben visibile dalla strada. Come se non fosse sufficiente, messo lì a fuorviare ogni dubbio c’è una piccola imbarcazione in legno oramai marcio. Mi fermo qualche secondo ad osservarla: è un peschereccio d’altri tempi, troppo piccolo per un albero maestro, a remi. Sul fianco, ormai sbiadito, è ben visibile il nome: Nautilus. Ridendo dell’improvvisato capitan Nemo mi rendo conto che il mezzo è ben arenato in un tappetto d’erba mentre una densa coltre d’edera fa quel che può per ricoprirlo. Un fianco, completamente squarciato, ospita un cespuglio germogliante. L’originale monumento anticipa (ma neppure tanto) il piatto forte del ristorante: il pesce fresco. Il giardino attorno la tenuta è piuttosto grande, ospita tranquillamente una mezza dozzina di auto e riesce a ricavarne lo spazio sufficiente per un piccolo parco giochi: un altalena, un dondolo ed uno scivolo. Alcuni bambini giocano controllati a vista dalle madri premurose ed inizio ad intuire che il locale sia orientato verso la ristorazione familiare. Ho prenotato con il mio vero nome, non che mi aspetti chissà quale trattamento di favore, entro con calma. Il ristorante è in stile agricolo: pareti di pietre a vista, volte a botte molto ampie, grandi lucernari con telai in legno. Occhio e croce mi sembra di scorgere una quarantina di posti a sedere, poco dopo mi viene detto che l’interno può ospitare sessanta persone; quando il tempo lo permette portano altri tavoli all’esterno (con gran gioia per i fumatori) arrivando ad un coperto di centodieci unità. Dominano i colori chiari, soprattutto il bianco dei grossi sassi che rivestono il muro. Sono appese foto in bianco e nero di pesca e pescherecci. Le solite quattro o cinque persone presenziano in quasi tutte le istantanee, quando lo chiedo mi viene detto che si tratta dei proprietari del locale, oramai in pensione. La sala da pranzo è molto grande e spaziosa, sembra ricavata da un vecchio granaio. Robusti tavoli in legno, tovaglie in lino, un servizio piuttosto raffinato. Molti coltelli da pesce dalle lame larghe e seghettate, chi non è pratico potrebbe trovarsi in imbarazzo. Il menù è piuttosto vario e tutt’altro che monotono: antipasti di vario genere, primi e secondi a base di pesce, contorni, frutta, dolci e bevande.
Partendo dagli aperitivi posso saltare a piedi pari i classici stuzzichini surgelati da ristorante (patatine fritte, chele di granchio, olive ascolane) al tradizionale prezzo di tre dollari e mezzo per passare a bruschette di vario tipo con pezzi di baccalà o salmone sopra. Quest’ultimo in particolare può essere ordinato fresco oppure affumicato, in base ai gusti. Personalmente suggerisco di provarli entrambi: la stagionatura al caldo dona un sapore più intenso che rimane a lungo sul palato ma la porzione fresca esalta i forti sapori del mare. Il pesce, come ricordato più volte nel menù, è rigorosamente fresco e pescato in giornata, cosa della quale non dubito dopo il primo morso. Mi sembra di notare un uso moderatissimo delle salse, il pane è praticamente senza sale, al quale si preferisce un filo abbondante d’olio. Ketchup e maionese non sono neppure presenti sul menù o tra i tavoli, se questa lancia difende con valore i sapori tradizionali sembra condannare senza pietà chi (soprattutto tra i bambini) non può farne a meno quando mangia fuori casa. Per coloro che lo desiderano è possibile ordinare piccoli bocconcini di totano o merluzzo fritti: consiglio fortemente di provarli poiché saranno il piatto forte del secondo. Vengono serviti al piatto, ancora coperti da una sottile patina d’olio, e seppur se ne senta l’aroma fresco (si tratta indubbiamente di olio extravergine d’oliva) tendono a rimanere pesanti sullo stomaco.
Come primi dominano con forza i brodi (di varia natura) per un prezzo medio sui quindici dollari a portata. Al classico brodo semplice di mare con crostini e verdure se ne aggiungono altri con tortellini, cozze, frutti di mare o calamari. Il brodo di vongole è particolarmente gustoso ma richiede una certa abilità con questo frutto di mare che va poi pulito con l’ausilio di una piccola paletta. Per chi, come il sottoscritto, non va pazzo per i primi liquidi la scelta di pasta è limitata ad alcuni spaghetti. Il condimento principale viene chiamato sugo di mare (cipolle soffritte, gamberetti, sedano, olio, origano, testa di pesce lasciata riposare , una puntina di vino bianco) ed è piuttosto gustoso, la mancanza di sale viene compensata dal forte sapore della salsedine. Per i più audaci suggerisco le tagliatelle al nero di seppia che, seppur raccapriccianti nell’aspetto, nascondono un ottimo sapore.
I secondi rendono onore al mare di Dilagon City ed iniziare con delle seppie ripiene mi sembra doveroso: le dimensioni di un singolo animale superano tranquillamente i venti centimetri e rischiano di fuggire dal piatto. Il ripieno per eccellenza prevede formaggio, pan grattato e uova ma sono disponibili piatti simili che presentano al loro interno pancetta, mozzarella, prosciutto cotto e peperoncino piccante. Per i golosi è possibile affogare la seppia nel sugo prima di servirla, solo su richiesta. Il tagliere di pesce grigliato è suggerito per un minimo di due persone e conta merluzzi, gamberi, seppie e tranci di polipo. Per trenta dollari si può avere un granchio bollito ma essendo un prodotto particolarmente raffinato richiede una certa abilità nel rompere ed estrarre il carapace senza contaminare la polpa. E’ possibile, se si ha il coraggio di chiederlo, farsi aiutare dai camerieri nelle operazioni più complesse ed essi accorrono con estrema gentilezza. Per chi è un po’ più esperto consiglio di provare il crostaceo: il sapore intenso e delicato vale tutti i soldi spesi. Fatta eccezione per quanto descritto non scorgo altri prodotti che potremmo riservare all’alta cucina: nel complesso il locale sembra indirizzarsi ad una clientela di ceto medio con un discreto successo. I misti di pesce fritto rappresentano una grande conquista per i più piccoli, in particolar modo le acciughe o i pezzi di totano che vengono serviti in porzioni abbondanti. Per dieci dollari si possono far contenti i più piccoli con gran sollievo dei genitori. I pesci al cartoccio sono i più famosi (tonno, orata e salmone) ma ne suggerisco il consumo solo agli appassionati di cucina marittima: il sapore leggermente blando e fortemente aromatizzato non è gradito a chi si sta avvicinando a questa branca dell’arte culinaria. Come già ribadito in precedenza tutti i pesci sul listino sono freschi di cattura e tirati a bordo in mattinata. Ciò potrebbe creare dei disservizi in giornate di maltempo (nel caso in cui i pescherecci non possano uscire per mare) e suggerisco sempre di chiedere quali prodotti siano disponibili e quali no onde evitare delusioni a metà pasto. Delusioni che, se devo essere onesto, è comunque difficile ricevere vista la bontà dei piatti serviti. Ultimo elemento che cattura la mia attenzione, seppur non così trascurabile come sembra, sono le vongole ripiene: uova, pan grattato e formaggio sono i componenti chiave ma è possibile sostituirli con carne, mozzarella o prosciutto cotto a cubetti. Salvo le eccezioni che vi ho riportato il prezzo medio per un secondo si aggira sui venti dollari, una spesa piuttosto comprensibile e giustificata prima di passare ai contorni.
I contorni, purtroppo, sono la pecora nera del ristorante: insalate miste o anche di rucola non sono tenute minimamente in conto sul menù. Si può avere una patata bollita o cotta al forno, vengono di nuovo offerte le stesse patatine fritte dell’antipasto assieme agli irriducibili stuzzichini ma niente che attiri l’attenzione del cliente. E’ la mancanza di verdure a sorprendermi: perché non metterle? Sarebbe bastato anche un piatto di spinaci che con il loro sapore amaro potessero contrastare quello del pesce a soddisfarmi del tutto, invece no. Non so se essere più deluso o amareggiato.
Frutta di stagione, niente lode né infamia, è possibile avere anche della frutta candita ma si tratta di un prodotto sottovuoto e personalmente lo sconsiglio. I dolci sono pochi, in fin dei conti è difficile sposarli con un menù di pesce, e quei pochi sono torte gelato o cheesecake surgelati. Niente prodotto in casa.
E’ la scelta dei vini a fare la differenza: recarsi alla “Taverna del Marinaio” e bere bevande gassate è come andare al museo con gli occhi bendati. Nella lista dominano i bianchi, esattamente come dovrebbe essere, ed i due o tre rossi sono comunque poco corposi e molto frizzanti. Per chi non può fare a meno di un vino abbastanza forte si presenta una raccolta di tutto rispetto di rosati: dolci e morbidi al palato, sia normali che leggermente gassati. L’ideale sarebbe prendere due bottiglie: una più dolce e corposa per il primo ed un’altra leggera ma frizzante per i secondi. In questo caso sembra che le bollicine si accompagnino meglio al fritto, le grigliate potrebbero richiedere un rosato dal gusto intenso. I prezzi partono dai sette dollari per superare di poco i trenta, al consumatore la scelta del vino che meglio si abbina ai suoi gusti.
Concludendo cari lettori posso dire di essere uscito abbastanza soddisfatto dalla taverna. Non ho riscontrato pecche nel servizio e tutti i piatti ordinati mi sono sembrati piuttosto buoni, decisamente in linea con il prezzo. La mancanza di sale aggiunto tende a sentirsi con i secondi, al contrario il sugo dei primi è decisamente saporito. Salvo questo piccolo intoppo (legato tra l’altro ai gusti) e la mancanza di contorni decenti non scorgo altri difetti in questo locale. Il prezzo finale è decisamente sopra gli standard a cui sono abituato da quando gestito questa rubrica ma non me ne pento affatto. La “Taverna del Marinaio” è un ristorante di tutto rispetto adatto sia alle comitive di amici che alle famiglie: il menù può adattarsi ad ogni esigenza ed accontenta tutti senza eccezioni. Con un gran pollice alzato saluto tutti voi dalla redazione di “Mi Siedo” e vi do appuntamento alla settimana prossima con un nuovo articolo. C’è la lieve possibilità che il nuovo pezzo di “Non mi Siedo” esca con qualche giorno di ritardo a causa di un progetto piuttosto innovativo che sto seguendo ma in tal caso rimedierò il problema anticipando un’altra edizione di questa testata. Prima di andare porgo i miei saluti a Matt e Don (che mi hanno parlato del locale appena trattato) e a tutto lo staff della “Taverna del Marinaio” augurandomi che leggano questo articolo sul Dilagon Post.