Vendetta dall'inferno • pt2

Sarebbero arrivati in pieno pomeriggio.
Janis, con chiunque avesse scelto di partire, si sarebbe trovata al Seaside. Esternamente il locale sembrava un bar decisamente abbandonato con anche delle finte alghe che ricoprivano l’intera struttura di legno apparentemente in decadenza mentre l’interno era arredato come un vero locale di pirati, una bandiera svettava in prossimità della cassa e i tavoli e le sedie erano tutte in legno. Anche le pareti erano del medesimo materiale ed erano appesi pesci impagliati, cartine di posti immaginari che segnavano con un X rossa un tesoro inesistente. All’interno di trovavano molte persone, la maggior parte erano marinai mentre a saltare all’occhio erano un uomo ben vestito che guardava fuori con aria malinconica e una giovane ragazza china su alcuni libri che di tanto in tanto sorseggiava qualcosa che si trovava in una tazza fumante.
Camerieri e baristi erano vestiti come dei veri e propri pirati e, alcuni, avevano anche un pappagallo finto appeso sulla spalla in maniera inquietante.
Ora da dove potevano cominciare?

L’uomo e la ragazza erano seduti a tavoli separati ma abbastanza vicini affinchè la ragazza potesse sentire il commento di Janis ma questa si limitò a guardarla con aria scontrosa limitandosi a tirare un po’ di più i tomi verso di lei e rituffando il naso nel libro che aveva davanti riprendendo a sorseggiare la propria bevanda ignorando completamente il mondo esterno.
L’uomo, invece, nel vedere la ragazza avvicinarsi con quell’energumeno prese un fazzoletto di stoffa che teneva in tasca per tergersi il sudore dal viso…erano lì per lui? Questa cosa lo agitava molto.

«Si? E voi chi siete?»

Chiese l’uomo. I capelli brizzolati davano qualche accenno dell’antico colore castano che aveva dato vita alla sua capigliatura e gli occhi dietro gli occhiali erano dello stesso colore; un paio di baffetti spuntano sotto il suo naso e la pancia gonfia andava a sbattere di tanto in tanto contro il tavolo ad ogni suo movimento. Sembrava essere agitato dato che il colletto prese a bagnarsi: aveva paura, era evidente.

«Chi vi manda? Volete uccidermi?»

Chiese, minacciando di andare in iperventilazione. Intanto una cameriera si avvicinò ai tre lasciando due menù sul tavolo.

«Benvenuti…date un’occhiata al menù o sapete già cosa ordinare?»

Iniziò a chiedere con un sorriso allegro prima di notare Ken che era rimasto ancora in piedi. Si guardò in giro cercando una sedia e avvicinandola al loro tavolo.

«Se vuole sedersi di sedie ce ne sono tante…»

Ironizzò rimanendo poi in attesa di eventuali ordini oppure per andarsene nel caso avessero avuto bisogno di tempo per leggere il menù.

Davanti ai loro ordini la cameriera si limitò ad annuire prima di volgere lo sguardo sull’uomo.

«Io prenderò un altro whiskey liscio.»

Disse alzando il suo bicchiere vuoto e porgendolo alla ragazza che lo prese e lo portò via insieme ai menù. Dopo ciò Moore tornò a spostare la propria attenzione sui due giovani riprendendo il suo fazzoletto per detergersi il sudore dalla fronte. Sapeva bene di essere fin troppo fifone ma quando la coscienza pesava era sempre così.

«Io non ho idea di chi sia il nemico ma attorno a me iniziano ad accadere cose strane, soprattutto dalla mezzanotte in poi. In casa mia ci sono stati bicchieri che si rompevano, coltelli che mi minacciavano di morire e addirittura una notte mi sono svegliato in mare, ai piedi del porto, mi hanno dovuto tirare fuori alcuni marinai che erano arrivati in piena notte per eseguire un lavoro che non avevano terminato la notte prima…»

Le sue parole sembravano quelle di un pazzo, di un delirante ma la paura era tangibile nei suoi occhi e la stessa Janis avrebbe potuto vedere con sicurezza che quello era uno sguardo sincero, di qualcuno che realmente viveva nel terrore.

In quel frangente arrivò la cameriera portò le bevande appoggiando sul tavolo l’aranciata e il whiskey.

«Fra poco arriva anche il cibo.»

Disse con un bel sorriso prima di tornare dagli altri clienti.

«Vi sembrerò pazzo ma vi giuro che non è così. Inoltre non c’era nessuno, sembrava quasi che quegli oggetti si muovessero da soli.»

Concluse l’uomo mentre con lo sguardo osservava la cameriera che si allontanava, per poi portare la propria attenzione su Janis, di nuovo.

Davanti alla richiesta di salse della moretta la cameriera annuì con un sorriso allontanandosi dal tavolo.
Erano quindi arrivate le domande, la parte più facile per come la vedeva l’avvocato. Annuì più volte, quasi come se volesse darsi coraggio, e alla fine si schiarì la voce dopo aver bevuto un lungo sorso di whiskey.

«Io sono solo un avvocato civile, non capisco chi potrei far arrabbiare con un lavoro tanto innocuo…però si. Succede sempre tutto dopo la mezzanotte.»

Annuì guardando fuori dalla finestra con aria agitata e tergendosi nuovamente il sudore dalla fronte con il suo fazzoletto di stoffa.

«Gli incidenti sono iniziati circa una settimana fa…più precisamente il 10. I primi giorni erano solo piccole cose, piccoli incidenti come cose che mi cadevano sul tetto, oggetti che sparivano…ma da un paio di giorni a questa parte la mia mobilia e gli oggetti di casa cercano costantemente di uccidermi…io non capisco ma la cosa non mi lascia per niente tranquillo.»

In fondo per una persona normale non era una cosa facile da sostenere, era abbastanza risaputo che gli uomini avessero paura di ciò che non conoscevano e non erano in grado di comprendere…ed era abbastanza chiaro che l’avvocato fosse sull’orlo di una crisi di nervi, pronto a piangere al prossimo coltello volante che avesse attentato alla sua vita.
In quel frangente arrivò la cameriera con il vassoio e appoggiando l’ordine fatto da Janis poco prima proprio sotto il suo naso.

Si vedeva lontano un miglio che l’uomo non fosse in grado di poter sostenere quella situazione e quando la giovane gli fece la propria proposta lui ci pensò bene prendendo il bicchiere e buttando giù gli ultimi sorsi della bevanda.

«Purtroppo ho solo una camera per gli ospiti ma ho un salotto ampio. Se non volete dividere la stessa stanza uno può stare sul divano…»

Provò a proporre, ma con chi credevano di aver a che fare? Con un riccone che aveva un castello al posto di una casa normale?

«Ho delle telecamere che danno sul cortile e all’entrata…ma dentro casa no. Julia è molto brava gentile e lavora con me da quando ho iniziato la mia carriera da avvocato. È la figlia della mia tata, non ho mai avuto necessità di avere delle telecamere per controllare il suo operato.»

Disse alzando un sopracciglio. Iniziava ad avere dei dubbi sul fatto che fosse un bene farsi aiutare da quelle persone ma in fondo lui non ci capiva niente di quel tipo di lavoro quindi decise di lasciarli fare comunque…anche perché non aveva molta scelta: o loro o la morte. Dal suo punto di vista era meglio usare loro come ultima spiaggia.

«Per il compenso non vi ha parlato Aiden? Mi spiace ma dovrete dividervi 1000 dollari…non credo di poter dare di più.»

Concluse con aria sempre più perplessa. Iniziava ad avere dei dubbi sulle loro abilità ma in fondo non aveva mai avuto a che fare con dei mercenari, forse pensavano prima ai soldi che al proprio lavoro. Ad ogni modo sperava solo di essersi messo in buone mani.

L’uomo tirò un profondo sospiro, difficile dire se di sollievo o di preoccupazione e dopo aver ascoltato le parole della ragazza fissò per un lungo istante la sua mano prima di afferrarla e stringerla. Janis non avrebbe sentito nulla provenire da lui, era evidente che fosse un semplice essere umano, fuori forma e con probabili problemi cardiaci data la stazza e la situazione estremamente stressante.

«Bene, direi che possiamo andare allora, così vi faccio fare un giro della casa.»

Se nessuno dei due avesse avuto qualcosa in contrario si sarebbe alzato pagando la consumazione di tutti e andando verso l’uscita.

«Buona serata signor Moore…ci vediamo domani?»

Chiese la ragazza che stava con il naso immerso nell’enorme libro nel momento in cui era entrata Janis. Dopo aver salutato l’uomo tornò a leggere ignorando completamente la presenza dell’arcanista.

«Non lo so signorina Carol…forse si, forse no.»

Disse semplicemente andando verso l’uscita.

«Possiamo andare a casa mia a piedi o preferite andare in macchina?»

Chiese semplicemente. Il sole stava lentamente andando verso il suo declino lasciando il posto al tardo pomeriggio, lentamente ma inesorabilmente si stava avvicinando il momento “X”, Janis si sarebbe fatta trovare pronta?

Buttando un occhio sui libri della ragazza non sarebbe riuscita a leggere il titolo però avrebbe potuto notare qualche immagine di pentacoli, fantasmi e un titoletto in nero che recava “Spiriti e affini”. Era evidente che fosse un libro sull’occultismo.
Moore accettò di fare la strada a piedi ma in realtà non ci fu molto da vedere durante il tragitto. Seguirono una strada che portavano all’entroterra di Bay che recava solo poche casette tra cui quella di Moore che si trovava praticamente dietro al locale e non sembrava essere particolarmente grande anche se una famiglia composta da mamma, papà, figlio e cane ci sarebbe stata molto bene come spazio.

«Da quando è iniziato tutto praticamente vivo in quel locale. Stare in mezzo alla gente mi fa sentire più sicuro…resto fino alla chiusura di solito.»

Disse con aria triste e sospirando. Quando furono davanti all’entrata frugò fra le tasche per cercare le chiavi di casa mentre erano fermi ad aspettare il buttafuori.

Le domande erano sempre troppo complicate per lui e lo facevano sudare terribilmente. Lo facevano sentire sotto pressione perché non era abituato a quel genere di cose, aveva sempre fatto una vita tranquilla tra quel posto e il centro della città. Anonimo, completamente anonimo in mezzo alla grande varietà di popolazione che Dilagon potesse offrire.

«Beh la piccola Carol è nata e cresciuta qui. Devo ammettere che è sempre stata una ragazza un po’ strana, fin da bambina. Adesso abita da sola perché i suoi genitori si sono dovuti trasferire per motivi di lavoro ma lei ha rifiutato categoricamente di salire su un aereo…quindi è rimasta qui.»

Disse semplicemente asciugandosi il sudore della fronte con un fazzoletto.

«Per quanto riguarda il pub apre alle 6 e chiude alle 21. Fa orario continuato perché arrivano anche persone per pranzare e cenare oltre che per fare colazione.»

Cercò di ricordare qualche altro particolare riguardo al pub ma non gli veniva nulla in mente, per lui quello era un luogo sicuro.

«All’inizio erano solo oggetti che si spostavano e che mi venivano addosso in camera mia, poi hanno iniziato anche a seguirmi per tutta la casa quando mi alzavo e correvo via. Poi hanno tentato di uccidermi dei coltelli che nessuno manovrava. Io non so spiegarlo meglio…mi dispiace…io non so…»

Gli occhi si stavano facendo incredibilmente lucidi e lui stava andando decisamente nel panico. Anche il solo ricordo di quegli attacchi lo facevano sentire male.
Fece poi strada a Janis all’interno della sua abitazione.

«È tutto a tua disposizione. In cucino c’è da mangiare e da bere, fai come se fossi a casa tua. Il bagno è di sopra dove ci stanno le stanze, il tuo amico può stare qui in salotto…beh vedete un po’ voi come volete sistemarvi…vado a prenderti delle coperte pulite per il divano. La stanza degli ospiti è a posto ovviamente…»

Salì quindi le scale lasciando Janis da sola ad organizzarsi come meglio avrebbe creduto mentre Jim non avrebbe trovato nulla nella sua ronda intorno alla casa.