L'attacco dei mercenari

Misato Kojima | Educatrice alla "Hope's house"

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    ♥ Non piangere Nishimiya sai poco fa ti ho parlato in un sogno, mi sembrava di aver rinunciato a molte cose, ma non è così. Ho sempre pensato come te Nishimiya...♥

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    L’attacco dei mercenari

    Hope’s House

    Misato era in cucina e stava preparando la colazione per tutti i bambini che si stavano già vestendo e lavando pronti per andare a scuola. Era piuttosto soddisfatta e fischiettava contenta mentre riscaldava latte, acqua per preparare tutto e lasciare a scelta. Anche i pancake non sembravano fatti da lei tanto che erano belli e buoni.

    «Eh, oggi ho proprio superato me stessa…vero Yuki?»


    Chiese ridacchiando ma l’animale non sembrava essere d’accordo. Era sdraiato sotto al tavolo e si limitò a sbadigliare e continuare a sonnecchiare. Proprio in quel momento qualcuno suonò alla porta e ad aprire andò Isabelle che lo fissò per un lungo istante. Era un uomo alto, ben piazzato e con una folta capigliatura bionda nascosta sotto un cappuccio nero.

    «Buongirono! Ha bisogno di qualcosa?»


    Chiese la direttrice con la sua aria severa, quella che assume chi detiene il potere.

    «Io…ho bisogno di parlare con Misato Kojima…sarebbe possibile?»


    Chiese quasi supplicando. Era chiaro che ci fosse dietro qualcosa di molto serio.

    «Ma certo! Si accomodi nel mio ufficio, io vado a chiamare subito la signorina Kojima.»


    Annuì andando poi in cucina dove la combattente era impegnata nei suoi esperimenti culinari e nello sfornare, uno dopo l’altro, tanti pancake, uova e pancetta bella croccante: la colazione perfetta. Isabelle ridacchiò davanti a quella scena e, rimanendo ferma sull’uscio, busso alla porta aperta battendo le nocche sul legno.

    «La signorina Kojima è pregata di smetterla di torturare quelle povere fette di pancetta e di andare nel mio ufficio. Ci sono visite per te…e sembrano essere importanti dato il nervosismo dell’uomo che è arrivato.»


    Inizialmente la combattente non riuscì a capire, chi poteva mai venirla a cercare a quell’ora? Lanciò un fischio per farsi seguire da Yuki e insieme andarono nell’ufficio dove l’uomo li aspettava seduta alla scrivania. Quando questo si voltò non sembrò essere sorpreso nel vedere una pantera che cercava un posto dove potersi sdraiare per dormire e questo accese un campanello dall’arme nella testa della guerriera.

    «Chi è lei e cosa vuole?»


    Chiese con aria severa andandosi a sedere nel posto che di solito occupava la loro direttrice, proprio davanti all’uomo sconosciuto che non abbassò nemmeno per un istante il suo cappuccio nero.

    «Io sono Mitchell Blackheart e sono qui per mio figlio, Jace Blackheart. Noi stiamo per morire ma vorrei che almeno lui riuscisse a sopravvivere. Sono un mercenario e hanno deciso di distruggere la mia squadra ma il mio ragazzo ha solo 14 anni…è presto per morire…e questa sarà proprio la sua prima missione e…»


    L’uomo scoppiò a piangere appoggiando i gomiti sulle ginocchia e nascondendo il volto fra le mani. Forse dovevano smetterla di pensare che chi combatteva non avesse il diritto di piangere o essere tristi, non era necessario essere delle macchine da guerra ventiquattro ore su ventiquattro. Questo avrebbe voluto dirgli e invece le uscirono parole ben diverse dalle labbra.

    «E io cosa dovrei fare?»


    «Promettimi che prenderete con voi il mio ragazzo…è una testa dura tenterà anche di fuggire ma promettetemi che resterà, a costo di legarlo al letto…»


    Aveva alzato il viso sul quale le lacrime si inseguivano in un macabro gioco.

    «Questo è un orfanotrofio, è nostro dovere prendere con noi ragazzi che da soli non ce la possono fare ma quando sarà maggiorenne deciderà lui cosa farne della sua vita, soprattutto se verrà adottato. Piuttosto…perché credi che stanotte uccideranno la tua squadra?»


    Chiese la combattente sempre più incuriosita da quell’uomo. Di rimando lui andò in apnea, quasi come se si fosse dimenticato di respirare, era abbastanza evidente che la cosa fosse piuttosto grave.

    «Perché stanotte verremo ad ucciderti.»



    Il nemico

    Jace non avrebbe mai immaginato di poter combattere contro un nemico degno di nota proprio una volta terminato il proprio addestramento. Era nato e cresciuto in una famiglia di mercenari e aveva imparato a combattere e ad utilizzare le armi da fuoco ancora prima di dire le sue prime parole e finalmente era arrivato il momento di mettere in pratica tutto ciò che aveva imparato. Era nell’ufficio dove spesso suo papà lo portava quando doveva partire per qualche missione, di solito lui rimaneva al sicuro ma quel giorno avrebbe partecipato anche lui.

    «Jace…sei pronto?»


    Gli chiese suo padre mentre il ragazzo guardava fuori dalla finestra con aria preoccupata. Gli avevano riferito quale sarebbe stato l’obiettivo ma nient’altro sulla strategia e doveva ammetterlo: la cosa lo preoccupava parecchio.

    «Certo papà..andiamo a sentire cos’hanno da dire.»


    Disse voltandosi verso di lui e andando poi verso la squadra che si era già posta davanti alla scrivania dietro la quale un uomo vestito di nero, e con un grosso crocifisso che gli pendeva dal petto, li passava tutti in rassegna con il proprio sguardo quasi come a cercare di soppesare le loro capacità.

    «Oggi dovrete affrontare un grande nemico: Misato Kojima. Lei faceva parte della Freccia d’Argento esattamente come voi ma ci ha traditi.»


    La missione era chiara, ora dovevano solo mettere tutto in piedi. Ma il capo della missione seguiva il padre di Jace molto da vicino e lui lo sentiva, il sentiva il giudizio che ormai era calato su di lui come una falce.

    «Qualsiasi cosa accada resta sempre vicino a me e fa tutto ciò che ti dico.»


    Gli sussurrò all’orecchio mentre usciva insieme agli altri mercenari.


    L’attacco

    Misato era stata avvisata dell’attacco da un uomo che aveva paura per l’incolumità del proprio figlio, ancora minorenne, ancora con la possibilità di restare in una struttura il tempo necessario perché perdessero le sue tracce. Chissà come mai ma si era lasciata andare dal suo dolore e proprio per questo aveva messo su tutta la sua squadra che a quel punto avrebbero già dovuto circondare il magazzino dove sarebbe accaduta tutta la vicenda. Senza dire una parola, appena fu arrivata a destinazione, Misato entrò senza guardarsi intorno e prendendosi una sigaretta per fumarsela e attendere ciò che sarebbe accaduto. Fu questione di pochi secondi prima che la porta del magazzino si aprisse e il primo ad entrare fu proprio Erik, il capo della freccia D’Argento, colui che più di tutti aveva goduto nel vederla morire dentro lentamente. Dietro di lui altri mercenari erano arrivati e tra di loro c’era anche l’uomo che le aveva chiesto aiuto ma stette bene attenta a non far indugiare lo sguardo su di lui per più di pochi secondi.

    «Erik…ma guarda un po’…siete venuti a fare festa con me?»


    L’uomo sorrise maligno prima di annuire.

    «Si, siamo venuti ad ucciderti e a darti la pace.»


    Senza dire altro i mercenari partirono all’attacco ma Misato non era da sola: Isabelle, Lucy, Sophì, Yuki, Burilda ed Eithan spuntarono fuori per correre in soccorso di Misato e aiutarla. I mercenari e la sua squadra iniziarono subito a combattere mentre la guerriera si ritrovò a fronteggiare il suo nemico con la katana sguainata, pronta a farlo a fette.

    «Preparati a morire….questa è una delle frasi ad effetto che si dicono di solito nei film, giusto?»


    La battaglia fra i due sembrava quasi essere alla pari se non fosse stato che Misato era un po’ più forte e ben presto lo mise con le spalle al muro pronta a tagliargli la testa. Stava alzando la mano quando uno dei mercenari che si era acquattato in un posto in alto con il suo arco, mirò direttamente al cuore della guerriera.

    «NO!»


    Urlò il padre di Jace buttandosi sulla traiettoria della freccia e beccandosela dritta nello stomaco, per salvare la guerriera, per dare un futuro al proprio bambino.

    «Papà….papà…ma che cazzo ti è venuto in mente?»


    Jace stava fronteggiando uno Yuki che sembrava essere piuttosto riluttando nell’attaccare ma quando vide il padre cadere abbandonò la sua posizione correndo verso di lui e inginocchiandosi al suo fianco. Prese la testa dell’uomo fra le mani e se l’appoggio in grembo. Fu una distrazione per Misato e questo diede il tempo ad Erik di fuggire. Era ovvio che non potevano vincere quella battaglia, aveva perso ben due pedine.

    «RITIRATA! CE NE ANDIAMO!»


    Come dei fantasmi sparirono in pochi secondi mostrando quanto fossero bravi a muoversi nelle ombre e lasciarono Misato e la sua squadra da soli.

    «SOPHI’ CORRI, VIENI A VEDERE COSA SI PUO’ FARE…ISABELLE PORTA IL FURGONE ALL’ENTRATA, DOBBIAMO PORTARLO IMMEDIATAMENTE IN OSPEDALE. LUCY PREPARA UNA LETTINO CON I GEMELLI PER TRASPORTARLO. FORZA MUOVETEVI!»


    Ordinò immediatamente Misato raggiungendo Sophì che si era già catapultata vicino all’uomo e stava già cercando di salvarlo con la sua magia o comunque di fermare l’emorragia almeno per poterlo portare in ospedale.

    «L-lasciatemi morire…»


    Disse l’uomo con un filo di voce.

    «Non dire stronzate, non ti lasceremo morire, verrai con noi all’orfanotrofio e vi aiuteremo a scappare da loro….»


    Ma l’uomo sembrava non dare loro retta, i suoi occhi erano tutti per il figlio.

    «Promettimi che starai sempre con questa donna…promettimi che ti farai aiutare…promettimi che ti rifarai una vita…non voglio che ti vendichi…non voglio che uccidi…promettimelo…»


    Il figlio capì che era arrivato al limite di una vita che odiava e che non voleva per Jace, lui lo sapeva bene.

    «Te lo prometto papà…»


    Sembrava solo che aspettasse quello prima di spirare, prima di lasciarsi morire.


    Il funerale

    Quella stessa notte andarono nei pressi del cimitero e gli diedero degna sepoltura, come si faceva con tutti i guerrieri della notte. Niente lapide, niente bara, sarebbe tornato alla terra esattamente da dove era venuto.

    «Prenditi il tuo tempo. Se vuoi venire con noi c’è posto. Se ti vorrai vendicare ti aiuterò. Cerca però di capire quello che tu vuoi, non fare le cose solo perché lo hai promesso ad una persona morta. Noi dobbiamo continuare a vivere…»


    Misato aveva ragione ma Jace gli aveva fatto una promessa. Seguì Misato e andò alla Hope’s House, quella che sarebbe stata la sua casa da quel momento in poi.


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