Alla ricerca di Patrycja.

Rivaille

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  1. GameMaster2
     
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    Harmony, come ogni quartiere di lusso che si rispetti, era l'esatto opposto di ciò che si trovava nei quartieri vecchi; la pura essenza dell'eccesso sfrenato e della richezza superflua permeavano in ogni singolo poro di quei muri e quelle strade così perfette. Non una cartaccia e non una pozza di ghiaccio, nemmeno un sacrosanto mozzicone di sigaretta si permetteva d'insudiciare quell'angolo d'iprocrita perfezione.
    Una volta che il sole tramontava la luci natalizie si accendevano prorompenti e pompose, illuminando a festa anche il più piccolo vialetto nascosto in uno di quei tanti immensi giardini che circondavano le suntuose ville del quartiere. Ma era niente se paragonato alla sfarzo della zona commerciale.
    Alberi di natale decorati con ogni sorta di ninnolo e dolciume si potesse comprare, ogni vetrina finemente decorata cone neve finta in motivi complessi come quelli del pizzo e delle migliori stoffe in circolazione. I negozi più lussuosi, oltre ai figuranti vestiti a tema, avevano il locale abbellito tanto quanto le strade; pacchi regalo che scendevano dai soffitti, pupazzi di neve ballerini, renne robot che si muovevano al passaggio delle persone e tante altre inutili meraviglie della tecnlogia.

    Nemmeno il freddo di Dicembre sembrava essere così gelido in quel quartiere. Era come se fosse meno pungente, probabilmente sopito dai costosissimi impianti di riscaldamento che tutti avevano, nessuno escluso. Anche i temerari che rimanevano fuori al vento dopo il tramonto non indossavano più che cappotti firmati e sciarpe di classe lungo i bottoni, forse usate più per moda che per reale necessità.
    Harmony non era un posto qualunque e un individuo sconosciuto, se non vestito adeguatamente, poteva dare facilmente nell'occhio e veder spezzate cattive intenzioni già sul nascere.
    E poi non ci voleva un occhio esperto per capire che le misure di sicurezza di ogni abitazione fossero ben superiori alla media. I muri avevano quasi più telecamere che mattoni e i grossi cancelli delle ville più decentrate, imponenti e monumentali, non lasciavano trasparire niente di quello che succedeva all'interno di quello spaccato di città. Non era raro vedere bestioni in giacca e cravatta, simili a quelli dei negozi, pattugliare armati avanti e indietro sul marciapiede e sulle terrazze, quest'ultimo spesso l'unico punto visibile della casa vera e propria.

    Noujazeer Avenue, l'indirizzo dell'amante di Hailey, aveva in quel punto "palazzine" di lusso, dove abitavano più famiglie di ceto alto. L'ingresso, similmente agli altri edifici lungo la via, era un portone marrone-oro senza vetrate raggiungibile da una breve scalinata, circondato da finestre piuttosto piccole e finemente lavorate. L'entrata piuttosto austera ben s'intonava al colore grigio-panna del marmo, che ricopriva la maggior parte dei palazzi, e al portiere esterno, armato, dalla facciata altrettanto severa.
    Alcuni palazzi intorno, quelli che avevano vetrate che permettessero di vedere all'interno, avevano tutti la portineria con guardiani e sorveglianza; facile intuire che anche quelli in stile meno moderno, che nascondevano il loro atrio all'esterno, ne avessero di simili.
    Ogni edificio era attaccato a quelli di fianco e così per svariati metri. Nessun vicolo oscuro avrebbe ammantato possibili aggressori, ma ciò non significava che non vi fosse un retro da qualche parte e che chi avesse bisogno di attendere qualcuno fosse sprovvisto di comfort. Praticamente quasi tutti gli edifici, compreso il 201, avevano di fronte dei bei giardinetti curati con: alberi, siepi, aiuole, a volte anche piccole fontane. Questi abbellimenti non mancavano mai di eleganti panchine in ferro battuto scuro, poste a intervalli regolari sul marciapiede per tutto il viale, vicino ai lampioni oramai accesi.

    Thomas Hailey sarebbe arrivato alle 21:00 sulla sua berlina scura e, come di consueto, sarebbe sceso di fronte al palazzo lasciando le chiavi al parcheggiatore dello stabile, un ragazzetto smilzo di colore che non si capiva bene da dove spuntasse, ma che quando serviva arrivava sempre con precisione millimetrica.
    L'uomo, dall'aspetto un po' rovinato, ma tutto sommato affascinante, non ci avrebbe messo più di qualche secondo a percorrere le scale e sparire all'interno del palazzo per onorare i suoi doveri di amante.
    Rivaille sul foglio aveva annotati gli orari lasciati da Anthi e non solo sapeva quando la preda potesse arrivare, ma anche quanto in genere si trattenesse, all'incirca non oltre le 23. Quello che il povero notturno non sapeva, però, era il nome dell'amante. L'unico indizio lasciatogli era che fosse una "ricca signora piuttosto anzianotta", almeno secondo le parole dall'affascinante succubus.
    Al cainita non restava altro da fare che organizzarsi e scegliere il momento più adatto per colpire Hailey.
     
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    Ora, ti devo delle scuse per il tempo che mi son preso per fare questo post, ed anche perché non ruolando da parecchio potrei aver fatto degli errori, molti, troppi. o.o


    Otto di sera.
    Un orario così sobrio, triviale e mondano, del tutto inusuale per il cainita, non abituato a cacciare durante quelle ore così adiacenti al crepuscolo. Le trovava vuote, infime, prive di quell'eccitazione che tanto ricercava e di cui viveva; l'atto stesso della caccia perdeva quasi di gusto di fronte alla banalità delle prede che gli si presentavan davanti a quelle ore. Era semplicemente troppo presto per potersi aspettare che quella peculiare fascia d'umani di cui amava cibarsi, coloro che avevan la presunzione di definirsi "padroni della notte" uscisse allo scoperto. Camminava, perdendosi in quel gelido buio, gli occhi schizzavano da un lato all'altro della strada, l'andatura rapida, spedita, ma mai troppo veloce, sgraziata. Con addosso un lungo ed elegante mantello, nero come la pece, come la più profonda delle voragini, probabilmente atto più a celare il lungo coltello che aveva sempre con sé e la snella figura, che ad opporsi alle gelide, costanti, sferzate di vento, a cui era invero indifferente. Gli carezzavan di tanto in tanto il pallido viso, quelle intense folate di ghiaccio - molti avrebbero aggiunto con aberrante violenza ed impeto, tanto d'aver timore che si squarciasse il volto proprio; ma su quella pelle bella seppur morta ormai da eoni non eran che un'impercettibile brezza, un lieve e sottile sospiro la cui percezione si limitava per lui solo ad una mera dissimulazione, una grottesca pretesa.
    Curioso davvero come si fosse fin troppo facilmente fatto invogliare in quella vicenda da quella donna, assai bizzarra, che vantava arie da mistero, pur avendo un innegabile fascino, un'attrazione indubbio inoppugnabile per qualsivoglia sempliciotto, nonché la condanna dei golosi. Non che le circostanze stesse di quell'impiego apparentemente modesto non lo fossero, nondimeno il sommarsi d'ognuna di esse esercitava un fascino così assoluto ed in definitiva troppo, troppo invitante perché potesse rinunciarvi a prescindere, negarsi un simile piacere di scoperta. L'astenersi non era stata mai un'opzione, fin dal primo momento. Come al solito, e fors'anche più del solito - la voglia di giocare gli era tornata, viva, d'un impeto estremo raggiungeva ora il suo apice, empiendolo d'un delizioso, quanto amaro nella sua assenza, desiderio di carne e sangue, pervadente come non mai. Un sadico gioco quello che intendeva intraprendere e forzare sulla sua vittima, l'immagine ben già distinta, ogni particolare già figurato anzitempo nella mente; et voilà, l'incipit d'uno sfarzoso banchetto era servito. Continuava a consumare strada dopo strada sotto gli stivali, passo dopo passo, di quei passi svelti, inarrestabili, seppur tanto ancora eleganti.
    Gli occhi assorbivano e catturavano immagini da ogni dove, senza permettere che anche il minimo, più infimo, dei dettagli vi potesse sfuggire, conservava avidamente scenari, strade, vicoli, qualsiasi cosa vi si posasse dinanzi alle palpebre, per passare dunque a nomi, volti, ed anche ai singoli e più insignificanti manierismi d'ogni suo interlocutore. La mente riteneva a lungo tutto ciò, così avida di quei dettagli quanto restia a rilasciarli, a concederli anche solo in parte una volta entratane in possesso, gli archivi della memoria d'una estensione spaventosa. Mostrò un poco di compiacimento, forse meramente una posa, nel pensare al successivo incontro con quella donna, che l'avrebbe potuto favorire in modi indicibili se solo avesse giocato opportunamente le sue carte. In fin dei conti, munirsi d'una mano vincente non sarebbe stato poi così arduo.
    Sebbene distasse ancora dal luogo ove il suo obiettivo si dedicava a sgraziati trastulli nel correre di quelle ore, già poteva sentire, assaporare il gusto d'ognuno di quei deliziosi momenti che si sarebbero susseguiti senz'interruzione alcuna, sulla lingua, fra le umide pareti della defunta bocca, ogni singola papilla pervasa da un'estasi indicibile che non presagiva altro che l'imminente piacere della caccia, quel desiderio così intenso e gustoso con cui empiva quelle notti. E più gli istanti passavano, più godeva d'un piacere maggiore, unico e rinnovato; voleva gustarsi quella preda, ed ovviamente l'estorcergli delle informazioni, meri dati in forma grezza, non sarebbe bastato. No, lui voleva di più, godere d'ogni grido, d'ogni sadico espediente che avrebbe impiegato per dilettarsi quanto per ottenere ciò che di cui necessitava appariva ora più delizioso che mai, ed il desiderio di porlo in una condizione di pura ed assoluta miseria aveva a priori già preso forma, concretizzandosi al sorger di tali pensieri.
    S'avvicinava or ora alla via medesima in cui doveva risiedere l'interesse - o uno dei tanti - amoroso di quell'uomo, divenuto ora sua preda, braccato ancor prima del tempo, senza ch'egli nulla sapesse. Lo sfarzo, l'opulenza era ivi assoluta, si palesava in ogni angolo, ogni insignificante nicchia di quel luogo, tanto da scatenarne una genuina percezione viscerale. I grandi condomini, quanto mai sfarzosi, non erano che una vana e volubile grandeur architettonica che non passava certo inosservata, seppur quella sua stessa grandezza rendesse delle tali opere a dir poco prive di fascino, poco più d'uno sfogo volontario di desideri tanto bassi e banali che avevano infine preso concretezza nell'architettura stessa di essi, divenendo effettivi, ed aberranti.
    Sfilò davanti ad uno dei tanti edifici ove qualcuno stava per fare il suo ingresso, e con l'apertura istantanea di quell'enorme portone volle tentare d'inspirare l'aria quasi rarefatta e mefitica di quel luogo per coglierne qualcosa, ma quella riluttante pretesa d'umanità non gli procurò altro che un infinito disgusto, e smise. L'unico vero sapore delizioso era il sangue, dolce nettare tanto anelato, e quel luogo ne presentava un quantitativo pressoché infinito. Nondimeno, restava un territorio di caccia noioso, limitato, virtualmente privo d'alcuna sorta d'imprevisti, d'una qualche inaspettata fonte d'eccitazione, e del tutto lineare, tanto da risultargli estremamente tedioso.
    Il portone rimase aperto ancora un poco, mentre tornava a serrarsi su se stesso poté vedere quegli umani salire i primi gradini d'una lunga scalinata, e per ognuno di questi che salivano il sapore di quel dolce nettare si faceva sempre più lontano, irraggiungibile, e conseguentemente il disgusto rinasceva in lui, riformandosi sempre più intenso. Passò oltre, riprendendo la sua camminata, ora paradossalmente ancor più goloso, pregno d'una brama assoluta.
    Quelle creaturine così insulse lo facevan indicibilmente ridere; per quanto non disprezzasse affatto quel genere di lusso estremo e sfarzoso, quella lussuria smodata, di cui invero lui stesso era vittima, era ben conscio che per gli umani, per quei loro intenti, non eran altro che tristi ed insulse esternazioni di grandezza, d'una importanza pretesa ed esternata, ma mai davvero sentita. Mere ostentazioni d'incommensurabile gola e futile desiderio d'affermare il vano. Null'altro che delle tristi velleità, ancora.
    Ma l'aria, l'aria era la stessa, inalterata ed inalterabile.
    L'odore di quell'aria era qualcosa che nemmeno i più ricchi e bramosi potevano definire, quel puzzo d'umanità corrotta, d'innegabile debolezza mista al marciume che non proveniva altro che da loro stessi e che ora impestava l'aria come la piaga mefitica che invero era, dalla quale nessun luogo aveva scampo, ma contrastata tuttavia da un delizioso profumo di vitae, un'estrema goduria, che solo pochi avevan conservato la facoltà di emanare.
    Continuava ad addentrarsi in quella strada, dagli edifici tutti così simili fra loro, la medesima esibizione d'ingiustificabile vanità, d'imponenza in ognuno di essi, così alti ricchi e sfarzosi, adornati da un'infinità di particolari, da mille sfaccettature, quegli esterni così ben rifiniti in pregiato marmo. Il puzzo della presunzione di quegli umani che vi vivevano, così convinti d'esser migliori, così superiori e diversi dalla restante popolazione, l'ipotetica borghesia di Dilagon, costretta a vivere in quartieri che eran l'antitesi assoluta di dove egli si trovava ora, l'avrebbe potuto soffocare; un odore così rivoltante tanto quanto quelle medesime convinzioni che solo una mente piccola triste e delirante avrebbe potuto maturare.
    S'avvicinava sempre più al luogo dove avrebbe dovuto attendere il suo obiettivo, l'edificio 201, che non presentava nulla di diverso da tutti quegli altri edifici, palesando la medesima pretesa di maestosità. Si portò al marciapiede direttamente opposto, andandosi infine a sedere su una panchina che dava proprio sull'edificio stesso. Prese dunque un paio d'istanti per scrutare bene ciò che quell'edificio aveva da offrire, ma rimase incredibilmente deluso nel constatare che oltre ad un portinaio all'ingresso, possibilmente armato e dotato di ben poca pazienza, ed un'infinità di telecamere, non vi fossero altri ostacoli, quantomeno visibili. Era indubbio possibile che le insidie più pericolose, quelle da cui si sarebbe dovuto realmente guardare nel tentare l'approccio fossero dentro, o semplicemente in una posizione che le rendeva ben poco visibili, un'ipotesi che gli consentì di saggiare per un breve istante il dolce sapore della sorpresa, dell'imprevisto, quel dolce inestimabile languore.
    L'alternativa, ben più magra e povera d'opportunità di trarre del godimento, era che fossero indifesi come oltraggiosamente parevano essere, e ciò, per quanto gli avrebbe facilitato il lavoro, lo privava al contempo d'ogni sorta di diletto che da esso avrebbe potuto trarre.
    Scrutò nuovamente la facciata, per breve tempo, cercando di tanto in tanto di gettare un occhio anche all'interno, più per tedio che per necessità di memorizzare ulteriormente le caratteristiche di quel luogo, cosa che invero aveva già fatto, concedendo il resto del suo tempo a quei documenti che la donna gli aveva dato. Prese a sfogliarli, la vita dell'obiettivo pareva riassumervisi, seppur blandamente - non che la realtà effettiva differisse particolarmente - su quella carta, quella manciata di fogli, colmi solo d'informazioni generiche, di poco conto. Banalità puramente anagrafiche, peso, altezza, ed un'infinità d'altri sciocchi dati grezzi che a ben poco gli sarebbero serviti, se non a dipingere un rivoltante quadro che tuttavia non disprezzava, per quanto disgustato - sapeva che quell'individuo, nella sua miserabilità, l'avrebbe più che mai intrattenuto.
    Ammirò il cielo buio diverse volte.
    Rimase seduto ancora a lungo, immobile, il freddo glaciale ad avvolgerlo ora come un manto, permeato dal desiderio, gli occhi, gelidi, colmi di frenesia omicida.
    Non aveva intenzione alcuna d'entrare prima che il suo bersaglio fosse arrivato, no, era oltremodo avventato e sciocco; non conosceva il numero della stanza ove la donna risiedeva, e sebbene ottenerlo gli sarebbe risultato affatto arduo, voleva far sentire la sua vittima braccata, instillare del terrore puro in lui prima del compimento del fatidico atto, appagando al contempo il suo desiderio, in minima parte.
    Sfilò dal taschino interno un orologio da tasca d'argento, le fatture apparentemente antiche ed ora alquanto consumate, guardò l'ora.
    Erano quasi le nove.
    Attese.

    Edited by A . - 1/12/2014, 01:33
     
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  3. GameMaster2
     
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    Le impressioni di Rivaille erano corrette, quel posto puzzava d'opulenza e presunzione come pochi a Dilagon, ma, tuttavia, era innegabile che vi si potessero dormire sonni più che tranquilli. O almeno, così era la norma e a quanto pare lo sarebbe stata ancora anche con un pericoloso vampiro nei paraggi.
    Nonostante la consapevolezza del cainita di essere in qualche modo superiore a quegli esseri, infatti, la sua decisione di rimanere fuori in attesa fu piuttosto saggia e ben ponderata; la visione della sicurezza nel quartiere e forse anche l'immaginazione che ne conseguiva di ciò che poteva aspettarsi chi, come lui, provasse a entrare senza invito, ma munito solo di cattive intenzioni, doveva aver fatto leva sui suoi istinti più bramosi in favore del più umano buon senso.
    Una scelta meno rischiosa, però, non l'avrebbe certo salvato da quei pochi minuti di noia.

    Negli istanti d'attesa che separavano il notturno dall'arrivo della sua preda, infatti, non sarebbe cambiato nulla. A piedi non camminava praticamente nessuno e quasi tutti quelli che arrivavano o partivano dai palazzi lo facevano grazie ad auto di lusso, spesso anche guidate da autisti. Inoltre, non c'era una sola dannata cartaccia in quella strada, niente che fosse fuori posto; siepi ben curate, fiori adatti alle basse temperature dai colori sgargianti e alberelli sempre verdi dalla forma perfetta. Una perfezione così pregna d'ipocrisia che forse s'intonava bene anche con il resto della città, fatta di bei sorrisi e tante promesse che finivano solo con pugnalate alle spalle.
    In qualsiasi modo Rivaille vedesse Dilagon e quel quartiere, una volta passati pochi minuti dopo le nove un'Audi blu notte avrebbe iniziato a rallentare, fino a fermarsi di fronte alla scalinata del 201.

    La parte del guidatore era proprio quella in direzione del cainita e addirittura prima che venisse spento il motore, un giovanotto dalla pelle scura e ben sbarbato uscì di corsa dal portone dell'edificio, catapultandosi giù dalle scale. Era vestito con una giacca verde scuro, cravatta intonata e dei pantaloni neri ben stirati, proprio come il portiere armato che piantonava l'esterno. Si precipitò allo sportello, ma il tizio al volante aveva già messo i piedi fuori: era Hailey.
    Il ragazzino si scusò, ma lui si era già alzato -dando le spalle al vampiro- con le chiavi nelle dita. " Fa niente, ciccio."
    L'uomo, poi,ì si mise la mano nella tasca dei pantaloni color cachi, mentre il giovane chauffeur prendeva le chiavi in mano e rimaneva in attesa della mancia.
    " Ti piace la mia nuova bambina?" chiese lui tutto soddisfatto, guardando gli interni marroni in pelle e radica che odoravano ancora di concessionaria.
    " Certo signor Hailey, è davvero molto bella." rispose l'altro educato.

    Thomas Hailey aveva i capelli tirati all'indietro un po' lunghetti, di un colore castano chiaro brizzolati di grigio e dei baffi corti e curati che scendevano fino al mento, ma non si univano in un pinzetto. Anche il giaccone casual, lungo fino alla vita, era di color cachi, ma più scuro dei pantaloni e molto più simile a quello dei texani dalla punta strettissima. L'uomo non era di altezza media, ma con quegli stivali sembrava avere i piedi di uno alto due metri.
    Il vampiro avrebbe potuto avvicinarsi mentre lui cercava la mancia, oppure aspettare che il giovane portasse via l'auto e fermare Thomas che si apprestava a salire. In ogni caso avrebbe dovuto sbrigarsi, perché gli scalini non erano molti e non ci avrebbe messo tanto a sparire oltre il portone, rendendo tutta quell'attesa vana.
     
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2 replies since 16/10/2014, 12:05   77 views
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